lunedì 1 settembre 2014

Juan Solo

Juan Solo. Il famoso Juan Solo. Il grande Juan Solo. Il geniale Juan Solo. Ho sempre letto pareri positivi su Juan Solo, anzi, entusiasti a dir poco.
Non potevo, quindi, perdermi l'ennesima edizione italiana di un fumetto riconosciuto dai più come un vero e proprio capolavoro. Sceneggiato da un autore la cui popolarità è seconda solo ai divi del cinema o dello sport (non è un caso che non si sia mai solo occupato di fumetto e il suo nome lo si può trovare facilmente su altri media narrativi), Alejandro Jodorowski, e illustrato abilmente da George Bless, gran maestro francese di matite ed inchiostri, viene presentato come "uno dei vertici narrativi raggiunti dal grande Jodorowski," e "un'avventura meravigliosa che non può mancare nelle collezioni di tutti gli appassionati! Un personaggio memorabile, per un'avventura già entrata nella storia dei comics!" 
Innanzi a queste parole mi sono avvicinato all'opera nel modo più aperto possibile, cercando di giudicare considerando ogni contesto, sia quello descritto nella storia che l'epoca in cui il fumetto vide la luce per la prima volta, un età non esattamente recente, con grandi aspettative ed emozioni per quello che avrebbe dovuto diventare un nuovo caposaldo nella mia formazione a nuvolette.
Eppure... eppure mi sono ritrovato in mano un prodotto impeccabile solo all'apparenza, ma che lascia alquanto a desiderare a confronto della gigantesca fama che lo precede. Juan Solo narra la vita di un orfano dei bassifondi sudamericani, abbandonato alla nascita a causa di una coda scimmiesca e la sua arrampicata sociale per mezzo solo ed unicamente di atti violenti e criminosi, manifesto di un'esistenza segnata e condotta all'insegna della corruzione umana, senza il minimo accenno di pentimento fino alla morte. A partire da questa premessa le possibilità per una grande opera su temi come, ad esempio, l'emarginazione e la diversità ci sarebbero tutte, ma la frenetica dinamica a "palla di neve" della storia non permette alcun approfondimento, lasciando spazio solo ad una serie di cause ed effetto a tinte sempre più forti, come a voler giocare sicuro grazie al sensazionalismo del fattaccio di turno. Sicuramente non avrò capito qualcosa, ma un escamotage del genere non me lo sarei aspettato da un qualcosa che vuole essere un po' più alto rispetto al semplice albo di supereroi americano. L'originalità, è bene dirlo, si fa largamente spazio solo nella costruzione dei personaggi (ma nemmeno tutti), quasi sempre contraddistinti da particolarità o malformazioni fisiche, in un modo che rasenta il geniale, ma purtroppo non procede oltre. In più, leggendo altre storie di Jodorowski si ha come l'impressione che l'inserimento di questi veri e propri freak come personaggi sia una forte ripetizione di idea che funziona, più che un marchio di fabbrica o una caratteristica della sua poetica. L'intreccio della vicenda è piuttosto banale e scontato e i diversi personaggi, anche se scritti al meglio, non sono affatto sufficienti per sostenerla. Il tutto si salva, almeno, per l'ottimo ritmo di lettura, scorrevole e mai pesante, i dialoghi, i grandi disegni ed è chiaro che gli autori sanno e molto probabilmente, per questo, proprio questo, l'amaro in bocca che ti lascia è ancora più amaro. Di fatto assistiamo ad un'esposizione fredda di una serie di sfortunati eventi già tristemente noti grazie alle pagine di cronaca dei giornali di tutto il mondo senza un'indagine, un parere, un messaggio se non l'inevitabile consapevolezza della realtà, ma per ottenere questo non è affatto necessario leggere Juan Solo. 
Ripeto, sicuramente sono io che non ho capito qualcosa, ma credo sinceramente che sia il fumetto più sopravvalutato di tutti i tempi. Probabilmente, alla sua prima uscita, avrà fatto successo e il suo contenuto avrà scosso qualche animo, glielo concedo, ma se vogliamo usare il termine capolavoro dobbiamo prima assicurarci che ce ne siano gli estremi perché capolavoro è una parola abbastanza grossa. 
La lettura di questa rinomata opera mi ha dato ben poche emozioni a parte la noia ed un enorme vuoto, ben agghindato, certo, da quegli stereotipi e retoriche tipiche di certi salotti intellettuali  a cui, i due autori, hanno propinato con grande maestria un bel banchetto con molto fumo e pochissimo arrosto.

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