giovedì 19 febbraio 2015

Birdman

"Io sono Birdman.
Tutti noi siamo Birdman. 



Eh sì, ho visto Birdman. Il pluricandidato film del regista messicano Alejandro Inarritu. 
Uno di quei cineasti (lo so, avrei dovuto scrivere filmaker, oggi è molto più in voga, ma l'unico vintage che adoro è quello lessicale) famosi per pellicole cosiddette d'autore e solitamente distanti dalla massa. Per questo ho trovato la visione stimolante, coraggiosa ed originale, soprattutto perché, se pur di una grande, grandissima qualità tecnica, non è affatto perfetto.

Stimolante grazie al suo lato più snob, quello che spinge a ricercare nuove forme di cinema senza porsi troppi problemi, al suo meta-racconto che lambisce cinema, teatro e fumetto (anche se quest'ultimo in minima parte), proponendosi come un piatto per palati esperti, per quelle élites ristrette che amano crogiolarsi in un "ce le scriviamo e ce le cantiamo" perpetuo, alienandosi volontariamente dalla società solo per ricrearne un'altra al suo interno né migliore, ne' peggiore, solo un po' più superba, con altrettante sfere di potere ed altrettante opinioni pilotate.

Coraggiosa perché sostanzialmente contiene verità ineluttabili, sparate a raffica sulla faccia degli spettatori, come pallottole di una gigantesca mitragliatrice cinematografica, sul mondo dello spettacolo, dei palchi e delle luci all'occhio di bue, di chi li calca e di chi ci si illumina, ma sopratutto di chi giudica e di chi pensa di saper giudicare.

Originale perché gioca sin dal trailer con l'attualità dell'intrattenimento, con le sue nuove croci e delizie, le sue più recenti maschere, di quei cambiamenti di gattopardiana memoria affinché niente cambi veramente e con cui diverte e si diverte, mescolando realtà e finzione, agitandoti davanti un'esca irresistibile solo per farti finire nella sua rete di domande e questioni, che altrimenti non avresti ascoltato.

Una commedia grottescamente realistica che ci mostra un paio di verità tanto negate quanto inconfutabili.

Il mondo dello spettacolo è un ricettacolo di individui insicuri ed egoisti che hanno bisogno di mutare pelle in continuazione per sentirsi anche minimamente realizzati, non dissimili dai drogati che affollano i centri di disintossicazione. Certo, ci sono grandi eccezioni e mille sfumature, ma pochi sono quei geni totali esenti da così umani difetti; anche perché, come per la maggior parte delle categorie, generalizzare sarebbe sbagliato se non fossero i componenti stessi di tali specifiche cerchie a rinverdire continuamente lo stereotipo che aleggia sul loro clan senza far nient'altro che aderire ad un comportamento precostituito, senza riflettere, senza pensare, ma abbandonandosi in esso come una nuova culla placentare in cui dormire illusioramente protetti dai disastri del mondo esterno. Il più delle volte è perché sono esattamente come sembrano, perché hanno bisogno o vogliono esserlo, sacrificando volentieri la loro originalità pur di sentirsi parte di qualcosa che sia giusto o sbagliato, poi, poco importa. Per il resto,semplicemente, è l'ambiente che tende a cambiarti o ad espellerti come un corpo estraneo in un organismo ben collaudato. E così l'organismo non evolverà mia, non muterà, non cambierà e non si rafforzerà restando con l'unica scelta a sua disposizione: sopravvivere alla lotta per la sopravvivenza seminando odio ed antagonismo, nella speranza di aizzare gli uni contro gli altri cosicché il loro posto nella catena alimentare sociale si possa conservare invariato e riparato come sempre sotto il solito dogma.

Il mondo della critica non è semplicemente composto da individui che hanno fallito nel coronare i loro sogni e si sono arresi, ripiegandosi su un ruolo meschino e vigliacco, in cui ci si arroga il diritto di giudicare, con sadico divertimento, gli sforzi del prossimo, sentendosi liberi da ogni dovere, sentendosi un dio in terra in grado di esaltare o vanificare ogni opera anche solo per mero capriccio, ma sicuramente è anche così. Ed in buona parte gode ad essere così, rivestendo i panni del sacerdote di una presunta religione chiamata arte, in cui chi va contro il suo vangelo è eretico e condannato senza possibilità di appello.


E l'ultima e più grande verità è che non esiste confine tra volgare e colto e non potrà esistere fin tanto chi si considera superiore agli effettivi istinti sciocchi e grezzi della massa non ricerca altro che le stesse emozioni , solo un po' meno dirette, un po' più mascherate, un po' più false, un po' più ipocrite. Non potrà mai esistere vera differenza se chi ha cultura è solo un mero contenitore di essa e si limita a crogiolarsi tra paroloni e pose senza distinguersi veramente dal popolino. Non potrà esistere se non un diverso modo di cedere alle comode lusinghe dei nostri difetti, un modo più sofisticato, ma partorito dalla medesima ignoranza. Non potrà esistere fino a che chi ha i mezzi per fare la differenza resta a guardare dalla propria finestra, inscenando numerosi e straordinari spettacoli in costume, nutrendo copiosamente il proprio ego, al sicuro lontano da ogni piazza, da ogni parlamento, da ogni teatro di ogni vero cambiamento.      


Ma forse è proprio questo il senso dell'arte, poter esprimere quel che non si può dire, tra la righe di ben altro, per svuotare una coscienza satura, senza ferire ne' esser feriti, alla ricerca disperata della conferma che il nostro pensiero non sai solo il vaneggiamento di un disadattato.