martedì 9 settembre 2014

Book Read Magazine intervista Manfredi

Oggi ho avuto il gran piacere di leggere una splendida intervista allo sceneggiatore,scrittore. cantautore Gianfranco Manfredi su Book Read Magazine, un sito di cui è facile intuire gli argomenti ("book" e "read", in inglese significano, rispettivamente "libro" e "leggere"), riguardante il metodo di lavoro e di scrittura  per una serie a fumetti Bonelli. Articolo che consiglio caldamente a tutti per i suoi contenuti, ottimi per comprendere al meglio quale sia il rapporto professionale tra la casa editrice, lo sceneggiatore e il disegnatore che si celano dietro ad ogni albo di Tex e compagnia. Tra le tante interessanti rivelazioni di cui Manfredi ci mette a conoscenza, ce ne sono un paio che, pur non trovando il mio disaccordo, mi hanno dato modo di formulare ulteriori riflessioni e personali parziali correzioni, che credo possano interessare tutti gli appassionati del fumetto come mezzo comunicativo e che vale la pena di approfondire.


Al punto due, quando parla della gabbia bonelliana, il papà di Magico Vento mi trova perfettamente d'accordo: dovrebbe essere sicuramente rivalutata, specie dai più giovani!
E' vero però, che, se l'immediatezza e la chiarezza della Gabbia sono fuori da ogni discussione, altre gabbie o non-gabbie alternative e più tipiche di altre culture hanno anche loro un margine di necessità e motivazioni saldamente fondate a terra per esistere. Tralasciando il sicuro sensazionalismo che un impatto grafico diverso abbia verso i lettori, attirandoli grazie ad una certa superficialità invece che con della sonora sostanza, molte soluzioni di natura americana, nipponica o anche solamente francese possono aiutare un autore ad esprimere molto bene, se non meglio, alcune emozioni o specifiche atmosfere. Questo si capisce al punto tre, dove  viene approfondita la questione, parlando della sequenzialità del fumetto, Manfredi porta ad esempio, come un modello che a lui non piace, la "decompressione", cioè narrare una scena frammentandola nelle tante piccole azioni o dettagli che compongono la totalità dell'azione stessa, cosa utilissima per dare un certo respiro (riflessivo, d'autore, suspence, etc..), rallentando il ritmo di una, o più parti della storia. Quel che l'autore milanese afferma in quelle righe non è affatto campato in aria, ma non si possono trascurare le possibilità comunicative proprie di un modo di far fumetti diverso da quello Bonelli. Vero, anche, che, sebbene in modo diverso e limitato, gli stessi obbiettivi si potrebbero raggiungere grazie alla capacità compositiva del disegnatore, arte nella quale, ahimè, non tutti i fumettisti riescono ad eccellere.
Altro esempio lo ritroviamo quando si parla dei balloon nel punto quattro. Come giustamente fa notare Manfredi, non è preferibile riempire le vignette di dialoghi pesanti togliendo troppo spazio all'immagine, vanificando così il lavoro dell'illustratore, ma nonostante concordi con l'efficacia popolare di una maniera sui dialoghi ripresa dal cinema e dalla televisione, reputo che si possa giocare senza troppi problemi con la pesantezza di un dialogo di botta e risposta che giunge fino ai piedi dei personaggi partendo dalla testa, magari se è in una splash page ( disegno a pagina intera non riquadrato da vignetta) dove i protagonisti sono presi da un acceso confronto verbale potente e veloce.
Aldilà delle molte possibilità che altre impostazioni di fumetto possono avere, è certo che un albo Bonelli sarà molto più lineare e scorrevole, proprio per la staticità della sua gabbia che impedisce al lettore di perdersi tra forme e formine di pagina, in pagina sempre diverse e che corrono il rischio, laddove non vi sia un gran talento, di creare confusione, d'ostacolare la decodifica del fumetto, anziché agevolarla. Alcuni potranno avvertire nella gabbia bonelliana monotonia, una noia che non avvertiranno con altri tipi di gabbie che fanno della dinamicità estrema il loro cavallo di battaglia (e non a caso più apprezzate dalla maggioranza dei giovani), ma che pretendono che il pubblico abbia già acquisito una grande familiarità col media del fumetto, cosa che purtroppo o per fortuna, non è così per tutti. Altri, invece, vedranno nel formato di Tex una guida sicura per seguire senza intoppi il corso della storia; esattamente come il telone di un cinema, che non cambia ad ogni inquadratura, ma rimane lo stesso gigante rettangolo, le tavole Bonelli hanno sempre più o meno la stessa disposizione di vignette facilitando la concentrazione di qualcosa di più importante, il suo disegnato interno. Quindi, possiamo dire che per certi aspetti la gabbia bonelliana è uno standard popolare quasi perfetto, perché permette a tutti, dico a  tutti, sia all'esperto di graphic novel, sia  all'occasionale lettore che acquista Tex nell'attesa di un treno alla stazione, di accedere al medesimo contenuto.
Sono punti di vista e scelte ben precise. Se è vero che le vignette sono solo le cornici dei disegni del fumetto, è anche vero che il fumetto non è solo un bel disegno o una bella storia (anche se nell'analizzarlo possiamo benissimo scindere le varie parti e renderci conto quale è meglio costruita nel caso non vi sia stato un grande equilibrio di lavoro), ma il fumetto è l'insieme di tutti questi elementi e ovviamente della forma delle vignette e dei balloon stessi. Personalmente preferisco un equilibrio tra una visione molto popolare che permetta un accesso relativamente facile ed immediato ed altre di natura sperimentale. Un buon esempio è la serie di Nathan Never sempre della Sergio Bonelli Editore, dove l'irruenza dell'allora giovane sangue fresco del comparto grafico fu bruscamente (e personalmente aggiungo, giustamente) contrastato del tradizionalismo del buon vecchio (e ora pure compianto, purtroppo) editore. Il risultato del clima dell'epoca lo possiamo osservare ancora oggi: una serie fresca e moderna, che non ha niente da invidiare ad altri colleghi internazionali per quanto riguarda dinamicità e creatività grafica, senza però tradire lo spirito popolare che permette, tra le altre cose, una remunerazione economica discreta. Stupire il pubblico è utile, ma stupirlo a forza, senza un criterio e tanto per gusto personale, non porta molto, se non un allontanamento dal proprio operato.

La frase che Manfredi usa per difendere quel che è a suo dire, una soluzione migliore di altre, è straordinaria.
Pone i riflettori su una caratteristica quasi subliminale di questo metodo d'impaginazione, un punto di vista diverso ed acuto:

"Alcuni autori ritengono questa impostazione un po’ troppo rigida , io la trovo molto funzionale e comoda, perché ha il pregio di far sparire la gabbia: una gabbia cui si è abituati, non è più una gabbia, mentre una gabbia in cui il lettore è costretto ad orientarsi, risulta indubbiamente più greve."

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