martedì 30 dicembre 2014

Agonia

Agonia, una lunga agonia di tre mesi, si è finalmente conclusa tra le mie mani.
Tre mesi in cui la mia mente è stata stravolta da domande e interrogativi tra i più strazianti e contorti.
Mesi in cui la mia fede di lettore zagoriano ha vacillato.
L' implacabile vendetta orchestrata da un acerrimo nemico de Lo Spirito con la Scure, quale Mortimer, negli ultimi episodi della serie (per la precisione i numeri 591, 592 e 593), non ha solo eretto l'ennesimo sfida impossibile innanzi al nostro eroe, ma ha sopratutto messo alla prova la sua tempra morale in un modo che non avevo mai visto!

L'iraconda promessa - minaccia rivolta al nemico fatta davanti ai suoi numerosi e sempre più turpi crimini, per quanto comprensibile, poneva, infatti, un forte possibile stravolgimento nell'indole stessa dell'eroe Zagor.


Non voglio rivelare troppo per quei pochi che ancora volessero avvicinarsi a questa entusiasmante avventura, ma certamente il protagonista fa ben intendere di voler eccezionalmente superare quel tipico confine che esiste solitamente per gli eroi del suo calibro, quella linea di demarcazione che divide nettamente il giustiziere dal criminale. Tutto ben più che giustificato, certo, ma che non poteva che far temere una svolta "dark" di un personaggio storicamente ben più illuminato.
Vero è, che la storia di Zagor è costellata di drammatici eventi e la sua stessa origine come giustiziere è ben poco limpida e più contemporanea di quanto non ci si aspetti, ma tradizionalmente sempre legata a un ferreo istinto di giustizia a cui mai il protagonista è venuto meno.
Non potete immaginare, quindi, il mio conforto nel constatare che, alla fine dei salmi, per quanto l'avventura abbia lasciato ben più d'un segno, Zagor rimane Zagor e anche qualcosa di più.
Il finale ideato da Burattini (curatore della testata), insieme a tutta la vicenda, esalta e rafforza i principi di fratellanza universale insiti in Zagor e taluni potrebbero considerarlo addirittura commovente.
E qui mi alzo in applausi poiché, se una storia per essere buona deve saper osare, non si può osare al prezzo del protagonista stesso, stravolgendolo solo per creare una grande storia. Quando si lavora ad una serie si ha , innanzitutto, il dovere di mettersi al servizio della serie e non di sfruttarla per mettere in scena le proprie storie, per quanto meravigliose esse siano. Cosa non facile, certo, ma è questo il banco di prova di un buono scrittore. Prova ormai da tempo ampiamente superata da Burattini, che qui lo conferma lasciando trapelare i possibili sintomi di quel che amo definire "la sindrome del creatore".


Talvolta, invece, mi pare che autori arrivati all'apice o quasi del loro talento, pur continuando ad imbastire trame grandiose non vedano i loro limiti e, trasportati da una spasmodica voglia di dar ancor più prestigio ai personaggi che così tanto amano, perdano di vista il sentiero: si avventurano così pericolosamente nei viottoli intricati di una foresta in cui vengono incantati dalle acque del dramma, punti dal veleno del cinismo e graffiati dalle spine dell'iper realismo, vagando febbricitanti di sensazionalismo per un territorio sempre più incerto. Ecco, forse mi sbaglierò, ma ho riscontrato in parte questo fenomeno in questa saga in tre parti dove, a mio avviso, di certi dettagli non si sentiva il bisogno, non almeno in un periodo come questo, sopratutto di quel particolare destino poi riservato a Mortimer (che se venisse smentito, dovrebbe essere fatto con un abilità tale da evitare incongruenze difficili da passare inosservate, cosa quasi impossibile a mio parere). La catena di sfortunati eventi che perseguitano questo Zagor ricorda anche metodologie più anglosassoni di far fumetto, ma che a differenza delle avventure dell'eroe nostrano, hanno solitamente un raggio d'azione molto più incline a riparare l'irreparabile senza apparire troppo sciocche.
Credo che certe tensioni drammatiche si potessero evitare senza troppi stravolgimenti sul senso , bellissimo, di un tutto comunque riuscito all'interno di quei parametri sopracitati che un autore deve considerare prima di ogni altra cosa quando lavora per qualcuno. Ecco: questo qualcuno, in questo caso, è Zagor, lo Spirito con la Scure.




mercoledì 15 ottobre 2014

Libero e selvaggio


Voltando l'ultima pagina della mia lettura mattutina sento crescermi l'amaro in bocca sempre più. Un amaro forte come un pugno allo stomaco, un senso di colpa indelebile sulla coscienza, la luce d'una disarmante verità. Un sapore raro per le mie qualità di lettore, che non hanno mai distinto libri, fumetti, riviste e quant'altro se non per la loro qualità. Un amore per la lettura ed il bel disegno che mi ha fatto navigare anche in acque piuttosto torbide dove ho assistito comodamente alloggiato nella mia cabina a mercenari truculenti, cannibali di neonati e molto altro molto peggio. Eppure la nuova creatura di Gianfranco Manfredi per la Sergio Bonelli Editore, Adam Wild, mi ha smosso un qualcosa di indefinibile e terribilmente indigesto. Sarà che ho consumato la sua prima avventura dopo una sbornia culinaria e l'amaro era più figlio di un cinghiale indomito che d'altro, ma "Gli schiavi di Zanzibar" (questo il titolo dell'esordio) è riuscito dove altri hanno fallito.



La serie, presentata come un' ennesima collana avventurosa del rinomato editore, è stata accolta alla stregua di uno Zagor o Tex dalle grafiche più contemporanee. Mai giudizio è stato più lontano dalla realtà. E' vero, Adam Wild è un fumetto di pura avventura ed anche un po' retrò, ma solo nel ricercato gusto della sua forma. Adam è sì uno spericolato studioso amante dell'azione (dalle idee chiare e con pochi dubbi), combattente determinato delle varie ingiustizie che incontra sul proprio cammino, ma non ha nulla a che spartire con modelli ideali come Lo spirito con la scure o il ranger del Texas. Scordatevi le fumose sparatorie alla Tex, o i lanci alla scure arrotondata di Zagor, qui siamo su tutt'altra pista. Stiamo percorrendo un sentiero pericoloso in cui potremmo perdere ogni certezza, dove non c'è bianco e nero, ma solo una serie di grigi imperscrutabili. In Wild si combatte quel che non va senza mezzi termini, non vi sono remore a sporcarsi le mani, anche con gesti poco nobili se necessario, specie se il nemico è crudele ed efferato e se questi servono cause più grandi e concrete di quelle terribili azioni.


Non c'è nessun eroe puro ed immacolato, ma solo uno spiazzante e realistico uomo di fine '800. Un individuo da priorità inamovibili che persegue con calcolo ed insolenza verso tutto e tutti quel che ritiene giusto. Non ama compromessi e non sembra solo spinto da un classico desiderio di giustizia, ma da sentimenti molto più umani e terreni, come la rabbia, l'odio, il rancore e il disprezzo. Non sembra conoscere il perdono.

Ecco la differenza con altri suoi più vecchi colleghi.
Adam è un difensore dei deboli e degli oppressi, ma non si fascia la testa con i principi, non ha problemi ad utilizzare anche metodi piuttosto simili a quelli dei suoi nemici, non teme di rischiare di diventare come loro, non ha interesse a rappresentare un modello di alcun genere o di dare il buon esempio, ma guarda solo ai risultati delle proprie azioni. Non pare solo giustificare i mezzi dei suoi fini, ma ci dice chiaramente che sono più che giusti quando ci si confronta con uomini così crudeli (come sono i suoi avversari); anzi, sono gli unici possibili nel mondo profondamente realistico in cui si muove. 
Una caratteristica che rende pregevole la forma del fumetto, dai disegni alla trama (sarebbe il caso di seguire la collana solo per questo; come è già successo con altre opere di Manfredi sembra d'aver sottomano un piccolo libro di storia) dove tutto è plausibile, anche le invenzioni più audaci e coinvolgenti, ma che non lascia alternative ad un diverso protagonista, ad un modello di qualità inossidabili, o ad un eroe da un obbiettivo e fermo senso di giustizia. Non c'è spazio per un Adam diverso, anche perché questa è la realtà, ottocentesca, ma pur sempre la realtà. A Wild, nonostante tutto, non si spegne mai il sorriso. Gode dei frutti della vita come pochi, assaporando ogni esperienza che la vita gli mette a disposizione nel modo più profondo e completo. Lo chiamano pazzo e non a torto. Tra curiosità ed impulsività è del tutto imprevedibile sia ad amici, che a nemici, con risultati inaspettati. Questo lato goliardico ed istrionico, però, in fin dei conti, aiuta poco a spazzare via quei demoni che paiono aleggiare sulla sua testa. Anzi, questa sua volontà di cogliere strenuamente ogni attimo fuggente, di viver la vita perché "del domani non v'è certezza", appare più come un modo per allontanare, infantilmente, le cose brutte delle vita, una droga per dimenticare i propri incubi o un placebo per calmare i propri fantasmi. Il positivismo con cui affronta ogni sfida ci ricorda, così, più una maschera che una reale indole genuina, anche se in realtà potrebbe essere un po' di entrambe. Si scolpisce quindi, una figura molto più complessa ed oscura di quel che potevamo prevedere. 
Questa è una serie che porta la fiaccola dell'avventura bonelliana nell'era contemporanea,esattamente come l'era contemporanea richiede: con luci meno limpide e rassicuranti, agli antipodi dell'eroe senza macchia e senza paura di alcune favole, molto più vicino al tanto apprezzato anti-eroismo di cui ormai trabocca ogni media. 



Adam Wild è un fumetto per chi ama l'avventura, ma non è un fumetto per chi ama gli eroi.
È un fumetto per chi non conosce l'avventura, ma ama più moderni e discutibili personaggi.
Un'avventura vera e propria per il lettore, che viene sorpreso di vignetta in vignetta dall'inaspettato uso di canoni fortemente attuali in un contesto solo apparentemente demode.
È chiaro che, oltre le intenzioni, gli eroi un po' più sbrigativi, dall'adolescenziale intolleranza civile, sono nel DNA dell'autore. Niente di male, per carità, ma questo Adam Wild, dopo Magico Vento e la saga di Ugo Pastore, è forse il personaggio più oscuro e problematico che poteva uscire dalla sua penna.
Sensazioni, più che certezze, ma queste ombre tra le closure dell'albo, permeano il tutto di un' atmosfera occulta, acre e pungente. Una sottile nebbia in pieno contrasto con la soleggiata speranza, ad esempio, di uno Zagor. 

Ormai è chiaro, osservando le figure più popolari tra fumetti, libri e film, e l'idea che sembra essere confermata, seppur in modo involontario, da Gianfranco Manfredi e da tutta la Bonell, che gli eroi di oggi non devono più essere modelli a cui aspirare, ma uomini con (tanti) difetti come noi. E se sono anti- eroi è pure meglio. 
In fondo ce lo hanno insegnato i nostri avi molto tempo fa: col "sangue" si fanno gli affari migliori e forse non c'è più davvero spazio per nuovi "buoni".

domenica 12 ottobre 2014

Di variant in variant




In una radiosa mattina di sole come tante, la mia quotidiana visita ad Internetland viene allietata dalla magnificenza espressiva del talento puro incarnato (o incar-tato?) in una nuova copertina targata Sergio Bonelli Editore.
Non una copertina come le altre, ma la copertina di una nuovissima serie che guarda, per l'appunto, sia al futuro che al passato, una copertina però di un numero già uscito in precedenza, uscito per forza di logica con un' altra copertina, sennò sarebbe uscito scoperto e avrebbe preso freddo o lo avrebbero denunciato alla buoncostume; insomma una copertina di un albo alternativa a quella ufficiale, una variant, quindi, come le chiamano in America.
E come variant è disponibile solo alla fiera di Lucca Comics & Games & Movies (& Altro & Bla, bla.. ) in tiratura limitata, accompagnata, tanto per intrattenersi durante il viaggio, dalla variant di Dylan Dog, per la precisione del primo numero ufficiale della Rivoluzione di Dylan by Recchioni (ma questa è un' altra storia).


Ed ora io dovrei urlare di gioia, ringraziando gli astri, come fa mezzo popolo di nerd (che sì, ormai sei un nerd anche se non sai programmare un gameboy, ma semplicemente non ti dispiace rilassarti leggendo le avventure di Super Pippo), per quest'occasione unica di impreziosire la mia collezione con queste due varianti obbiettivamente eccezionali di due albi presumibilmente straordinari. Dovrei, appunto, al condizionale.

Non so se chi leggerà queste righe ha idea di cosa sia una variant, o, se volete, come preferirei venissero chiamate, copertine alternative. Evito di raccontare le origini più o meno comprovate dela prima variant e vado subito al sodo: invenzione tutta statunitense pensata per un mercato capitalista che basa ogni sua produzione innanzi tutto sul profitto, su come vendere più albi, prima che di venderne di qualità, è l'idea principe per il mercato della commercializzazione dei propri personaggi più multimediale di tutti che seduce il lato più collezionistico ed effimero di ogni lettore di fumetti, al fine unico di sottrargli più liquidi possibili con la medesima ed invariata sostanza di un prodotto che si è solo rifatto il trucco. Per sua natura, quindi, le variant tendono ad affascinare, inducono necessità inesistenti per qualsiasi tipo di lettore di fumetti, tutto al fine di capitalizzare il più possibile da un unico piccolo sforzo economico. Una naturale rappresentazione della filosofia statunitense che ben si sposa coi loro eroi e sogni di carta vari. Ciò nonostante una variant non è un sempre un brutto oggetto, anzi tutto si basa sulla particolarità e la qualità dei vari e talentuosi disegnatori chiamati per la loro creazione. Col tempo sono diventate anche un ottimo mezzo pubblicitario per nuove serie o nuove saghe di collane già conosciute, catturando così l'attenzione dell'opinione pubblica. Nessuno toglie, ahimè, che acquistare due fumetti con due copertine diverse, ma identici per contenuto sia sostanzialmente inutile. In fondo quel che a un lettore interessa è la storia e non credo sia conveniente spendere il doppio per poter avere in mano una copia di un numero che già possiedo con la sola differenza della sua pelle. In più dobbiamo tener conto che, solitamente, una variant fa lievitare i prezzi dei suoi albi e si può solo immaginare che valore spropositato possano raggiungere nel mercato dei collezionisti. Si può essere tenuti a credere che sia giusto, ma oltre alla diversa copertina rimangono pur sempre oggetti dalla medesima foliazione e qualità dei cosiddetti regolari ( a parte rari casi) e non ho mai visto motivo per cui qualcuno debba spendere più di quel che un editore chiederebbe per quel formato in condizioni più comuni. Se acquisto un volumetto
di 100 pagine a 3,20 €, chi me lo fa fare di acquistarne anche un altro con la stessa storia ad un prezzo maggiorato? Solo per poter possedere una copertina più bella? Sinceramente non credo che questo sia conveniente ai consumatori di fumetti. Certo, se c'è chi se lo può permettere faccia pure, ma si dovrebbe sempre pensare anche alle conseguenze delle proprie azioni e se si ncentiva un' idea le si dà forza ed in questo caso si alimenta una tipologia di mercato che punta sull'esclusività più che sulla popolarità del fumetto. Quello delle variant è tutto un gioco alla speculazione la cui vittima è il lettore e mi fa riflettere non poco quest'ultima novità della Bonelli delle due variant per Lucca. Non è nelle mie intenzioni puntare il dito, cosa piuttosto antipatica, su chi ha sostituito Sergio Bonelli alla guida di quel grande carrozzone che è la casa di via Buonarroti, ma non posso esimermi dall'evidenziare una scelta piuttosto anomala per quel che è sempre stata la politica bonelliana. Forse sono in errore, magari non ho abbastanza conoscenze per poter giudicare, ma non mi è mai parso che nelle intenzioni della Sergio Bonelli ci fossero idee così tanto americane e così poco idonee all'idea di fumetto popolar-avventuroso che ha sempre contraddistinto la casa editrice. Non trovo che delle variant per pochi, per quei pochi non solo che andranno a Lucca, ma che saranno disposti a sborsare per albi, magari che già hanno, com'è il caso del primo numero di Adam Wild (visto che alla sua uscita nessuno sapeva che avrebbe avuto una variant, a differenza di Dylan Dog), sia un'idea utile ad un editore resosi famoso proprio per l'accessibilità dei suoi albi, sotto ogni punto di vista, alla grande massa.

Un' operazione del genere, sicuramente porterà nuovi lettori, ma ha senso portare nuovi lettori se se ne perdono di vecchi demolendo caratteristiche tipiche ed uniche del proprio lavoro? Trovo anche poco adatto il formato Bonelli alle variant. Negli Stati Uniti i fumetti vengono spesso pubblicati in esili spillatini, numerati solo in fronte e diversi di numero in numero, per poi essere solo dopo rilegati in volumi più o meno eleganti. Le loro variant non sempre sono così esclusive, sono ormai entrate di prepotenza nella loro logica di far fumetti e spesso chi si reca in fumetteria od edicola può scegliere quale albo del numero della sua serie preferita acquistare, quale copertina preferisce avere già all'uscita del numero regolare. Così arricchirà con l'illustrazione che più stimola il suo immaginario una collezione già in partenza molto più dinamica come stile grafico delle nostre. Questo non per una nostrana arretratezza, ma semmai per una concezione diversa e non inferiore di collezione personale. In america, i singoli albi, seppur impreziositi da mirabolanti copertine ed altro, sono originariamente considerati come prodotti usa e getta, per esser di facile diffusione e trasporto, per esser letti in pausa pranzo, a ricreazione o in metro senza troppi problemi. Anche se il tempo ha cambiato molte cose e i collezionisti impazziscono dietro ai singoli albi è sempre più frequente che questi spillatini siano poi rivenduti dai lettori per acquistare i volumi in cui sono ristampate le storie migliori di una collana. I volumetti Bonelli, invece, nascono già come eleganti volumi da libreria in miniatura, la cui veste è pensata per ottenere continuità formale e sostanziale dentro e fuori le sue pagine. Una volta riposti su uno scaffale non vi è discontinuità visiva e ogni serie ha un suo stile preciso e ragionato sia per grafiche che, appunto, per copertine. Tutto questo senza perdere le caratteristiche popolari dei formati d'oltreoceano. Quindi se qualcuno volesse fare il pignolo, dovrebbe per forza acquistare entrambi gli albi , quello regolare per avere una continuità completa nella collezione di una seria e la famigerata variant per avere la variant.

Non ho mai apprezzato troppo, come si sarà ben capito fin'ora, il concetto stesso delle variant, quindi non vedo di buon'occhio delle variant pensate per pochi eletti. Anche se non si volesse concepire
produzioni di matrice popolari e cosiddette "per tutti", sarebbero più rivoluzionari ed efficaci nel raccogliere del nuovo pubblico prodotti che vadano a premiare chi davvero segue con "fedeltà" una casa editrice e non semplicemente chi può permetterselo. Immaginiamo magari illustrazioni collezionabili al posto delle variant (simili a quelle allegate al Tex Nuova Ristampa, perché no?) o variant disponibili per tutti, albi concepiti per chi fa ordinare una determinata quantità in edicola, fumetteria o dal sito di una casa editrice ed altro ancora. Sono solo esempi, alcuni forse impossibili, di quel che potrebbe essere una alternativa possibile alle attuali soluzioni che le varie case editrici trovano per far fronte alle loro necessità commerciali. È vero anche che è più facile percorrere strade già battute, ma la Sergio Bonelli non ha certo costruito il suo prestigio accodandosi al gregge degli editori, bensì rimanendo fortemente fedele ai propri principi,anche in quei momenti in cui questi apparivano più come una palla al piede che come un caratteristico vantaggio.

Semplicemente queste variant mi fanno scattare un campanello in testa, istintivamente mi appaiono come elementi insoliti per un dire che negli anni ha sempre girato al largo da certe manovre commerciali e credo che chiunque dovrebbe, almeno, convenire su questo punto,:sul fatto che, per come la si voglia pensare, è sicuramente una stranezza un po' fuori dal carattere Bonelli. Non saranno queste copertine né la rovina del fumetto italiano, né della Bonelli, anzi, solitamente aperture verso nuove forme dovrebbe essere considerate piuttosto positive, ma dalle mie parti si ama dire che è "meglio aver paura che buscarne" e non potevo evitare di esprimere la mia preoccupazione per una probabile nuova politica Bonelli, inquanto, come detto sopra, molto distante dall'idea popolare della casa editrice. Probabilmente, anzi sicuramente, non sarà così, non ci sarà nessuna nuova via e il mio sarà stato un timore inutile, ma ciò che questi albi speciali per Lucca mi comunicano è questo: una strada molto diversa da quella che ha reso così importante, prima che grande, la Sergio Bonelli Editore per il nostro fumetto.

Ci saranno eserciti d'invasati conservatori che saranno d'accordo con le mie parole, come plotoni di detrattori eccitati dalle novità, che già da tempo, stanno caratterizzando la casa editrice milanese in modo leggermente diverso e ci saranno tanti addetti ai lavori che mi assicureranno che era lo stesso Sergio (Bonelli, ovviamente) ad aver messo la sua firma su quelle scelte, ma in parte nessuno mi toglie dalla testa che la sua morte abbia come liberato dei cani in gabbia fin troppo repressi da un padrone amorevole, ma severo, editorialmente parlando. Spero solo di sbagliarmi, anche perché so bene che Sergio Bonelli non aveva mai avuto idee pedagogiche da affidare ai suoi fumetti, ma so anche quanto avesse bene in testa che tipo di fumetti dovessero essere, per motivi ben precisi e non per soli capricci di gusto, ma lo spero vivamente perché diversamente l'esistenza di questo editore nel nostro panorama non avrebbe più alcun senso e noi avremmo perso lo spirito del fumetto italiano, oltre che per una buona fetta di storia nazionale.

lunedì 22 settembre 2014

Animal Zagor

Finalmente ho letto la conclusione dell'avventura zagoriana Il signore dell'Isola e posso affermare che la coppia Colombo-Giusfredi è riuscita a chiudere una bella storia con un seguito di cui nessun appassionato di Zagor avrà di che lamentarsi.
In questa seconda parte è illustrata, con semplicità ed efficacia, una piaga, ahimé, fin troppo attuale e la storia si presenta agli occhi di noi lettori con un' inquietante puntualità.
Il classico potente, prepotente del luogo manipola il popolo scagliando il loro odio verso un nemico totalmente indifeso che, in questo caso, coincide con una specie animale sull'orlo dell'estinzione. Questo broglio mediatico mette, così, in luce la debolezza di quegli uomini mal educati, abbrutiti da una vita di stenti ed ignoranza, che, non solo non riesce ad opporsi all'apparente verità di un astuto ingannatore, ma che forse, in fin dei conti, non vuole neanche farlo.
Parlando alla pancia della massa, il reale avversario del protettore di Darkwood, fa leva sull'insicurezza di chi non sa, non accetta di non sapere e non vuole sapere. Facile è per lui aizzare questi piccoli uomini contro un sedicente male incarnato (in questo caso una famiglia di volpi giganti) perché in fondo è questo che vogliono. Hanno un problema e desiderano una soluzione immediata, anche quando questa non è possibile. Non amano spiegazioni complicate, benché vere ( la realtà dei fatti è sempre più complessa di quel che ci può apparire), vogliono un colpevole, un obbiettivo da colpire per estirpare la loro erba cattiva, un capro espiatorio per l'ora e l'adesso ed è facile offuscare la ragione se non la si vuol vedere.
La stessa ragione che è mancata a chi, qualche tempo fa ha avviato un inutile girandola di allarmismo contro una madre impaurita per i propri figli, spaventata da chi non doveva essere davanti a lei in quel luogo a quell'ora, un' orsa che mai si sarebbe sognata di attaccare un centro abitato, disorientata da un inesperto, incauto ed incosciente (per non dire stupido) cercatore di funghi avventuratosi dove non avrebbe dovuto. Di lì a poco, sia una parte di stampa, che figure politiche e di associazioni varie, hanno permesso il formarsi di un' opinione pubblica, che ha visto nell'animale un pericolo mortale per i centri abitati della zona, un' idea assurda, perché non tiene conto dei motivi per cui quell'uomo è stato assalito, del come e del quando, ma sopratutto di nessuna nozione scientifica che riguardi l'orso in quanto animale. Se l'avesse fatto si sarebbe resa conto che l'unico pericolo era rappresentato dall'incoscienza che l'uomo ha dimostrato, che una madre, di qualsiasi genere, si spaventa facilmente per i suoi cuccioli e che nessun essere vivente può essere mai cattivo di nascita. L'opinione pubblica però non ha coscienza o cervello, ma solo voce, ed è una voce che urla unicamente per istinto, che prende forma dalla parola del più forte in barba ad ogni ragione possibile.
"Il sonno della ragione genera mostri" diceva qualcuno, ed il mostro, l'orrore vivente, non è rappresentato né da volpi giganti, né da orse terrorizzate, ma da animali eretti che uccidono altri animali senza nessuna vera motivazione, per sfogare le loro frustrazioni e violenze, per il loro infantilismo congenito. E se nella storia bonelliana le volpi hanno un salvatore di nome Zagor, nella realtà un' orsa muore per l'incivile distrazione di uomini troppo arroganti.

http://www.repubblica.it/cronaca/2014/08/15/news/trentino_cercatore_di_funghi_aggredito_da_orsa_con_cuccioli-93830997/


Vegan Zagor ?

Forse non tutti voi sanno della mia passione per uno dei fumetti popolari più longevi del nostro paese, quel tarzanide in casacca rossa che risponde al nome di Zagor, creato dal Sergio figlio del Bonelli, avventuroso romanziere, papà di Tex con cui diede il via a un effetto domino di creatività all'interno della letteratura disegnata a tutt'oggi inarrestato. Se fu Topolino, col suo fumetto Disney, l'esperta casalinga ad introdurmi in un nuovo e mirabolante aspetto dell'esistenza, sicuramente fu Zagor il primo amore, la prima tormentata storia, la mia emancipazione fumettistica che mi permise di levare l'ancora ed allargare i miei orizzonti, avvicinandomi alle coste della maturità a "nuvolette". Dal cosiddetto "Spirito con la scure" in poi è stata tutta discesa (o tutta salita, a seconda dei punti di vista)  verso culture sempre diverse e molto distanti tra loro: americani, striscie, supereroi, sudamericani, franco-belga, manga, manhwa, graphic-novel e chi più ne ha, più ne metta. Quindi il mio affetto per il personaggio trascende il semplice "mi piace"  e sarà per questo, sarà per la narrativa fantastica tutt'ora piuttosto fresca ed apprezzabile, o sarà per le firme degli autori, che aspettavo con grande curiosità di leggere l'albo di questo agosto, marchiato da una colonna della serie come Maurizio Colombo e da Giorgio Giusfredi, un giovane debuttante in casa Bonelli, ma che ha già potuto lasciare il proprio segno in qualche almanacco.
Così mi trovo a leggere un'avventura zagoriana con tutti i crismi, avvincente dalla prima all'ultima vignetta ed adornata con una sequela di personaggi uno più particolare dell'altro, grazie ai quali i siparietti comici di Cico si sprecano, alleggerendo come da tradizione le varie vicende. Ed allora m'inchino alla coppia di autori, ma sopratutto, vista l'età (non poi così distante dalla mia) e l'inesperienza, al giovane Giorgio, perché fino a qui non se ne può che dire bene.
Eppure, più andavo avanti nella scoperta di questa nuova ed emozionante ventura dei nostri Don Chisciotte e Sancho Panza (riferimento non casuale, visto che nella storia gli autori si divertono ad accostarci i nostri eroi senza andar affatto fuori luogo), più avevo come l'impressione che s'imbattessero in dinamiche un po' più moderne rispetto al solito, un po' più, come dire, legate al nostro viver quotidiano.
Niente di male, in questo, anzi, ma nessuno mi toglie dalla testa che la strega hippie figlia dei fiori, vegetariana e tra un po', probabilmente, anche vegana, e il tema dell'animalismo e dell'ecologismo che si celano abilmente dietro l'angolo, siano frutto dell'enfant prodige Bonelli, o (chissà?) così non è e il buon Colombo ci ha messo del suo. Ad ogni modo la cosa mi ha molto divertito e mi sono istantaneamente interrogato su come il personaggio di Zagor da sempre campione d'umanesimo, possa interagire con un personaggio così spiccatamente ambientalista. Ho sempre interpretato la figura dello Spirito con la Scure come un rappresentante di valori universali, che mettono la vita e la fratellanza umane come priorità assolute, anche davanti al resto dell'universo, animale, vegetale, ecc, senza però mancargli di rispetto. Trova, quindi, un equilibrio tra le sue scelte, nel difficile rapporto tra la necessaria sopravvivenza dell'uomo e il pianeta di cui è figlio e ospite. Davanti a questa "paladina di Madre Natura", che durante i suoi deliri (dovuti al dolore per una ferita grave) accusa di omicidio i poveri trappers (figure tipicamente non ostili a Zagor) alla vista delle pelli che trasportano, vive in una capanna con due volpi giganti come animali domestici ed è convinta di essere una strega capace di comunicare con le divinità lunari, come reagirà il nostro protagonista? La figura Zagor ne uscirà come al solito immacolata, o, per contrasto, apparirà nettamente dalla parte della ragione o del torto? Nel suo comportamento apparirà un residuo di antropocentrismo ormai superato o riuscirà a capire la filosofia "naturalistica" della donna?
Non so di certo dove abbiano desiderato andare a parare gli autori (lo scopriremo solo tra un paio di mesi o meno), ma mi sono augurato che non vi sia il voler di svecchiare la figura dell'avventuriero facendolo apparire piuttosto tollerante dinanzi ad una mentalità che, sebbene sia attualmente ben accettata anche se non sempre compresa sino in fondo, è in pratica socialmente dannosa poiché basa il suo pensiero su fondamenti scientificamente smentiti e di conseguenza alimentano una discreta disinformazione popolare, di per se', molto poco auspicabile per fin troppi motivi. Mi rendo di poter apparire un poco oscuro e criptico e vengo subito in soccorso ai più disorientati specificando che la filosofia a cui mi riferisco, più quella ecologista è l'ambientalismo radicale unito al vegetarianesimo. So che molto appassionati del vendicatore di Darkwood potrebbero criticarmi affermando che la tolleranza alle più disparate culture è una caratteristica dominante, che mai viene meno, del personaggio di Zagor, ma è vero anche che non ha mai tollerato fili di pensiero che, per quanto diversi, infrangessero quei principi che oggi chiamiamo naturali, fondamentali ed universali dell'uomo.
Purtroppo, nel contesto zagoriano, è molto difficile che i vari personaggi possano realmente rendersi conto dei motivi per cui questi modi di pensare siano nocivi, al massimo appariranno come innocue stranezze. E questo accade perché oggi abbiamo mezzi per comprendere le debolezze e gli errori di atteggiamenti che in altre epoche non esistevano. Anzi, potremmo dire che un vegetariano al tempo fantastico di Zagor sia addirittura una cosa pregevole, un individuo sicuramente "avanti" rispetto ai suoi simili e, quindi, assai utile, almeno in un primo momento, per l'evoluzione culturale di un popolo. Il problema sta proprio qui. Se le avventure di Zagor fossero un reperto storico, benché inventato, sarebbero appunto contestualizzate in un momento in cui potremmo considerare tali pensieri in modo molto positivo rispetto al loro tempo, ma non essendo così, leggendo storie pensate e realizzate, più che oggi, per l'oggi, si può affermare che mostrare uno Zagor troppo docile nei confronti di un animalismo radicale possa far passare con troppa leggerezza il concetto che questo tipo di dottrine siano unicamente positive. Attualmente, niente di tutto questo ancora è accaduto, ma trovo che sia sempre un bene riflettere su qualsivoglia spunto che l'arte e la cultura, volontariamente o no ci offrono. Certo, bisogna evitare di scadere in inutili processi all'intenzione ed allarmismi vari, ma a casa mia si dice: "Meglio aver paura che buscarne".
So che molte persone non hanno ben chiaro perché definisca in modo così negativo l'essere vegetariano e varie culture della stessa matrice ambientalista, cercherò brevemente i spiegarmi in poche righe, tanto basta per non trasformare il tema di quest'articolo in tutt'altro.
In maniera molto diretta la scienza, cosa che si può verificare facilmente grazie ad una passeggiata in biblioteca, ci assicura che le cosiddette diete vegetariane non sono idonee per il nostro organismo, specie nei primi anni di vita, ma grossomodo per tutta la nostra esistenza, esattamente come una dieta eccessivamente piena di carne, essa non è la soluzione per il benessere umano. L'unica possibilità è seguire la nostra natura di onnivori ed avere il più possibile un equilibrio nel proprio nutrimento. Poi c'è sempre l'idea che le coltivazioni di verdure non danneggino l'ambiente come gli allevamenti intensivi di bestiame, idea completamente errata, in quanto il risultato delle immense piantagioni, intensive o meno, di vegetali sparse nel mondo hanno lo stesso effetto. In più l'essere vegetariano è una scelta  che ho sempre visto piuttosto comoda, una mania per chi si può permettere di scegliere cosa mangiare a differenza di chi non ha "uno per far due" e di scelte ne ha ben poche. Certi animalisti e vegetariani, poi, tendono ad additare con pesanti parole e con troppa facilità chi non abbraccia il loro pensiero e credo che questo sia forse l'elemento più negativo, ma che, a sua volta, è strettamente collegato con la reale debolezza della loro dottrina, che vuole la difesa estrema della vita animale e vegetale anche, se non in termini pratici, contro quella umana.
Molto spesso si sente parlare di quanto sia in pericolo l'ecosistema del nostro pianeta, ma non ci viene mai in mente di domandarci del perché sia così importante fare qualcosa al riguardo, perché bisogna salvarlo. In realtà non credo che per la vita della Terra l'uomo rappresenti un reale pericolo; essa è un corpo celeste da un'esistenza ultra millenaria e questa che stiamo vivendo è solo una delle sue tante stagioni di vita, ma sicuramente la progressiva distruzione dell'ambiente così come lo abbiamo sempre conosciuto avrà fortissime ripercussioni negative sulla specie umana, se non proprio condurla all'estinzione. Possiamo quindi dire che voler bene all'ambiente è innanzitutto una prova d'intelligenza, di saggezza e lungimiranza, un atto d'amore verso noi stessi. La Terra potrà sopravvivere anche senza di noi, ma noi non possiamo certamente sopravvivere senza la Terra. Perciò, personalmente, auspico sempre un equilibrio tra l'esigenze sempre più complesse dell'umanità e quelle del resto del creato e, percorrendo questa via di pensiero, ho la convinzione che la cultura scientifica possa sempre aiutarci, anche quando gli stessi problemi sono apparentemente originati da essa stessa. La scienza si esplicita con loo studio e la scoperta del mondo che ci circonda, attraverso quel pensiero che fa dei dubbi, delle domande e della mancanza di certezze la sua arma più potente. Per quanto un'idea possa essere affascinante dovrebbe sempre fare i conti con la pratica delle cose, sondare i propri limiti e verificare i proprio dogmi.
Certo che i miei lievi dubbi su un "errato svecchiamento" del nostro caro amico Zagor siano del tutto infondati, invito tutti a recuperare l'albo Zenith n°640 "Il signore dell'isola" e mi congedo con una delle più sintetiche citazioni da una dei peggiori film tratti da un fumetto di sempre.

https://www.youtube.com/watch?v=lf0vm9wBUf8




martedì 9 settembre 2014

Book Read Magazine intervista Manfredi

Oggi ho avuto il gran piacere di leggere una splendida intervista allo sceneggiatore,scrittore. cantautore Gianfranco Manfredi su Book Read Magazine, un sito di cui è facile intuire gli argomenti ("book" e "read", in inglese significano, rispettivamente "libro" e "leggere"), riguardante il metodo di lavoro e di scrittura  per una serie a fumetti Bonelli. Articolo che consiglio caldamente a tutti per i suoi contenuti, ottimi per comprendere al meglio quale sia il rapporto professionale tra la casa editrice, lo sceneggiatore e il disegnatore che si celano dietro ad ogni albo di Tex e compagnia. Tra le tante interessanti rivelazioni di cui Manfredi ci mette a conoscenza, ce ne sono un paio che, pur non trovando il mio disaccordo, mi hanno dato modo di formulare ulteriori riflessioni e personali parziali correzioni, che credo possano interessare tutti gli appassionati del fumetto come mezzo comunicativo e che vale la pena di approfondire.


Al punto due, quando parla della gabbia bonelliana, il papà di Magico Vento mi trova perfettamente d'accordo: dovrebbe essere sicuramente rivalutata, specie dai più giovani!
E' vero però, che, se l'immediatezza e la chiarezza della Gabbia sono fuori da ogni discussione, altre gabbie o non-gabbie alternative e più tipiche di altre culture hanno anche loro un margine di necessità e motivazioni saldamente fondate a terra per esistere. Tralasciando il sicuro sensazionalismo che un impatto grafico diverso abbia verso i lettori, attirandoli grazie ad una certa superficialità invece che con della sonora sostanza, molte soluzioni di natura americana, nipponica o anche solamente francese possono aiutare un autore ad esprimere molto bene, se non meglio, alcune emozioni o specifiche atmosfere. Questo si capisce al punto tre, dove  viene approfondita la questione, parlando della sequenzialità del fumetto, Manfredi porta ad esempio, come un modello che a lui non piace, la "decompressione", cioè narrare una scena frammentandola nelle tante piccole azioni o dettagli che compongono la totalità dell'azione stessa, cosa utilissima per dare un certo respiro (riflessivo, d'autore, suspence, etc..), rallentando il ritmo di una, o più parti della storia. Quel che l'autore milanese afferma in quelle righe non è affatto campato in aria, ma non si possono trascurare le possibilità comunicative proprie di un modo di far fumetti diverso da quello Bonelli. Vero, anche, che, sebbene in modo diverso e limitato, gli stessi obbiettivi si potrebbero raggiungere grazie alla capacità compositiva del disegnatore, arte nella quale, ahimè, non tutti i fumettisti riescono ad eccellere.
Altro esempio lo ritroviamo quando si parla dei balloon nel punto quattro. Come giustamente fa notare Manfredi, non è preferibile riempire le vignette di dialoghi pesanti togliendo troppo spazio all'immagine, vanificando così il lavoro dell'illustratore, ma nonostante concordi con l'efficacia popolare di una maniera sui dialoghi ripresa dal cinema e dalla televisione, reputo che si possa giocare senza troppi problemi con la pesantezza di un dialogo di botta e risposta che giunge fino ai piedi dei personaggi partendo dalla testa, magari se è in una splash page ( disegno a pagina intera non riquadrato da vignetta) dove i protagonisti sono presi da un acceso confronto verbale potente e veloce.
Aldilà delle molte possibilità che altre impostazioni di fumetto possono avere, è certo che un albo Bonelli sarà molto più lineare e scorrevole, proprio per la staticità della sua gabbia che impedisce al lettore di perdersi tra forme e formine di pagina, in pagina sempre diverse e che corrono il rischio, laddove non vi sia un gran talento, di creare confusione, d'ostacolare la decodifica del fumetto, anziché agevolarla. Alcuni potranno avvertire nella gabbia bonelliana monotonia, una noia che non avvertiranno con altri tipi di gabbie che fanno della dinamicità estrema il loro cavallo di battaglia (e non a caso più apprezzate dalla maggioranza dei giovani), ma che pretendono che il pubblico abbia già acquisito una grande familiarità col media del fumetto, cosa che purtroppo o per fortuna, non è così per tutti. Altri, invece, vedranno nel formato di Tex una guida sicura per seguire senza intoppi il corso della storia; esattamente come il telone di un cinema, che non cambia ad ogni inquadratura, ma rimane lo stesso gigante rettangolo, le tavole Bonelli hanno sempre più o meno la stessa disposizione di vignette facilitando la concentrazione di qualcosa di più importante, il suo disegnato interno. Quindi, possiamo dire che per certi aspetti la gabbia bonelliana è uno standard popolare quasi perfetto, perché permette a tutti, dico a  tutti, sia all'esperto di graphic novel, sia  all'occasionale lettore che acquista Tex nell'attesa di un treno alla stazione, di accedere al medesimo contenuto.
Sono punti di vista e scelte ben precise. Se è vero che le vignette sono solo le cornici dei disegni del fumetto, è anche vero che il fumetto non è solo un bel disegno o una bella storia (anche se nell'analizzarlo possiamo benissimo scindere le varie parti e renderci conto quale è meglio costruita nel caso non vi sia stato un grande equilibrio di lavoro), ma il fumetto è l'insieme di tutti questi elementi e ovviamente della forma delle vignette e dei balloon stessi. Personalmente preferisco un equilibrio tra una visione molto popolare che permetta un accesso relativamente facile ed immediato ed altre di natura sperimentale. Un buon esempio è la serie di Nathan Never sempre della Sergio Bonelli Editore, dove l'irruenza dell'allora giovane sangue fresco del comparto grafico fu bruscamente (e personalmente aggiungo, giustamente) contrastato del tradizionalismo del buon vecchio (e ora pure compianto, purtroppo) editore. Il risultato del clima dell'epoca lo possiamo osservare ancora oggi: una serie fresca e moderna, che non ha niente da invidiare ad altri colleghi internazionali per quanto riguarda dinamicità e creatività grafica, senza però tradire lo spirito popolare che permette, tra le altre cose, una remunerazione economica discreta. Stupire il pubblico è utile, ma stupirlo a forza, senza un criterio e tanto per gusto personale, non porta molto, se non un allontanamento dal proprio operato.

La frase che Manfredi usa per difendere quel che è a suo dire, una soluzione migliore di altre, è straordinaria.
Pone i riflettori su una caratteristica quasi subliminale di questo metodo d'impaginazione, un punto di vista diverso ed acuto:

"Alcuni autori ritengono questa impostazione un po’ troppo rigida , io la trovo molto funzionale e comoda, perché ha il pregio di far sparire la gabbia: una gabbia cui si è abituati, non è più una gabbia, mentre una gabbia in cui il lettore è costretto ad orientarsi, risulta indubbiamente più greve."

lunedì 1 settembre 2014

Juan Solo

Juan Solo. Il famoso Juan Solo. Il grande Juan Solo. Il geniale Juan Solo. Ho sempre letto pareri positivi su Juan Solo, anzi, entusiasti a dir poco.
Non potevo, quindi, perdermi l'ennesima edizione italiana di un fumetto riconosciuto dai più come un vero e proprio capolavoro. Sceneggiato da un autore la cui popolarità è seconda solo ai divi del cinema o dello sport (non è un caso che non si sia mai solo occupato di fumetto e il suo nome lo si può trovare facilmente su altri media narrativi), Alejandro Jodorowski, e illustrato abilmente da George Bless, gran maestro francese di matite ed inchiostri, viene presentato come "uno dei vertici narrativi raggiunti dal grande Jodorowski," e "un'avventura meravigliosa che non può mancare nelle collezioni di tutti gli appassionati! Un personaggio memorabile, per un'avventura già entrata nella storia dei comics!" 
Innanzi a queste parole mi sono avvicinato all'opera nel modo più aperto possibile, cercando di giudicare considerando ogni contesto, sia quello descritto nella storia che l'epoca in cui il fumetto vide la luce per la prima volta, un età non esattamente recente, con grandi aspettative ed emozioni per quello che avrebbe dovuto diventare un nuovo caposaldo nella mia formazione a nuvolette.
Eppure... eppure mi sono ritrovato in mano un prodotto impeccabile solo all'apparenza, ma che lascia alquanto a desiderare a confronto della gigantesca fama che lo precede. Juan Solo narra la vita di un orfano dei bassifondi sudamericani, abbandonato alla nascita a causa di una coda scimmiesca e la sua arrampicata sociale per mezzo solo ed unicamente di atti violenti e criminosi, manifesto di un'esistenza segnata e condotta all'insegna della corruzione umana, senza il minimo accenno di pentimento fino alla morte. A partire da questa premessa le possibilità per una grande opera su temi come, ad esempio, l'emarginazione e la diversità ci sarebbero tutte, ma la frenetica dinamica a "palla di neve" della storia non permette alcun approfondimento, lasciando spazio solo ad una serie di cause ed effetto a tinte sempre più forti, come a voler giocare sicuro grazie al sensazionalismo del fattaccio di turno. Sicuramente non avrò capito qualcosa, ma un escamotage del genere non me lo sarei aspettato da un qualcosa che vuole essere un po' più alto rispetto al semplice albo di supereroi americano. L'originalità, è bene dirlo, si fa largamente spazio solo nella costruzione dei personaggi (ma nemmeno tutti), quasi sempre contraddistinti da particolarità o malformazioni fisiche, in un modo che rasenta il geniale, ma purtroppo non procede oltre. In più, leggendo altre storie di Jodorowski si ha come l'impressione che l'inserimento di questi veri e propri freak come personaggi sia una forte ripetizione di idea che funziona, più che un marchio di fabbrica o una caratteristica della sua poetica. L'intreccio della vicenda è piuttosto banale e scontato e i diversi personaggi, anche se scritti al meglio, non sono affatto sufficienti per sostenerla. Il tutto si salva, almeno, per l'ottimo ritmo di lettura, scorrevole e mai pesante, i dialoghi, i grandi disegni ed è chiaro che gli autori sanno e molto probabilmente, per questo, proprio questo, l'amaro in bocca che ti lascia è ancora più amaro. Di fatto assistiamo ad un'esposizione fredda di una serie di sfortunati eventi già tristemente noti grazie alle pagine di cronaca dei giornali di tutto il mondo senza un'indagine, un parere, un messaggio se non l'inevitabile consapevolezza della realtà, ma per ottenere questo non è affatto necessario leggere Juan Solo. 
Ripeto, sicuramente sono io che non ho capito qualcosa, ma credo sinceramente che sia il fumetto più sopravvalutato di tutti i tempi. Probabilmente, alla sua prima uscita, avrà fatto successo e il suo contenuto avrà scosso qualche animo, glielo concedo, ma se vogliamo usare il termine capolavoro dobbiamo prima assicurarci che ce ne siano gli estremi perché capolavoro è una parola abbastanza grossa. 
La lettura di questa rinomata opera mi ha dato ben poche emozioni a parte la noia ed un enorme vuoto, ben agghindato, certo, da quegli stereotipi e retoriche tipiche di certi salotti intellettuali  a cui, i due autori, hanno propinato con grande maestria un bel banchetto con molto fumo e pochissimo arrosto.

mercoledì 28 maggio 2014

Un Batman a cinque stelle?

 Spesso mi capita di notare sedicenti appassionati di supereroi piuttosto infatuati della politica di grillo, Casaleggio e i loro sostenitori. Non ultima una frase a difesa della presunta scelta di Fabrizio Moro (giovane cantautore) di suonare per il M5S di gestore di un ennesima Pagina di Facebook su Batman. Allora mi sorse un interrogativo: si può accostare un personaggio come il difensore di Gotham al Movimento Cinque Stelle? La risposta è no ed ora vi spiego il perché.
 Batman è un vigilante ante litteram, uno dei combattenti del crimine per eccellenza e sicuramente, uno dei più antichi, se non il più antico rappresentante del filone dell'eroe urbano privo di quei poteri sovrumani che tanto caratterizzano i supereroi.  Il cosiddetto uomo pipistrello è un soldato impegnato in una guerra personale, una vera e propria crociata contro tutti quegli individui nemici della società e dell'umana idea di giustizia. Un impresa al limite dell'ossessione, ma motivata nella finzione da un dramma personale: l'aver assistito da piccolo alla morte brutale dei suoi genitori a causa appunto di chi ha deciso di viver infrangendo le leggi che regolano la convivenza tra gli uomini. Per questo motivo è uno dei supereroi forse con il pretesto più logico per le proprie azioni: cos'altro potrebbe fare un uomo la cui infanzia è stata profondamente turbata da un delinquente senza troppi scrupoli? Appare quindi molto plausibile al pubblico che lui, in modo o nell'altro, investa tutte le sue energie per far sì che un evento del genere non si ripeta mai più a nessun altro. Un obbiettivo piuttosto infantile, è difficile poter pensare di sradicare realmente le ingiustizie presenti al mondo nell'arco di una vita umana o poco più, ma anche comprensibile e figlio di una profonda rabbia razionalizzata col tempo nel forte desiderio di estirpare il crimine e tutte le condizioni che lo generano. Perseguendo questa necessità, le cui vere motivazioni potrebbero anche essere ben poco nobili, è ben chiaro che metta in atto qualcosa di estremamente altruistico incanalando i propri drammi a difesa di un universale principio di eguaglianza. In più di settanta anni di carriera troviamo sia in Batman che nella sua reale identità di Bruce Wayne, erede di ricchezze, industriale e filantropo di fama mondiale, una figura che cerca di contrastare con ogni mezzo possibile i disonesti ed i corrotti, di notte, quanto, di giorno, di sfruttare tutte le sue risorse per dare esempi positivi di legalità. Perché, come molti di voi sapranno, Batman riesce a fare quel che fa perché l'enorme ricchezza di Bruce Wayne  lo permette. Non ha bisogno di lavorare e può quindi spendere il suo tempo ad addestrarsi nelle discipline più disparate, fisiche e mentali, può aver accesso ad avanzate tecnologie e può, cosa più importante, far valere la propria opinione ad alti livelli in quanto personaggio di spicco della società e sempre per riuscire nel suo intento di arginare il più possibile ogni tipo di attività e principio criminale. Molti vedono nel cavaliere oscuro, come in tutti i super eroi d'altronde, un simbolo negativo, reazionario e fascista. Purtroppo questa è un analisi parziale e retorica. La giustizia "fai da te" è sì un concetto retrogrado, ma anche molto americano, retaggio di un loro "far west" mai troppo superato nel livello culturale della popolazione statunitense, complice anche una situazione sociale molto più selvaggia della nostra. Non è una giustificazione, ma si dovrebbe sempre contestualizzare quel che si va giudicando, per comprenderlo, così da analizzarlo al meglio senza rischiare di scadere in stereotipi. In questo caso, in fondo, la scusa del vigilante è un pretesto per vivacizzare storie altrimenti ben più noiose e magari poter riflettere  sui problemi della nostra società. Se ci è chiaro questo non ci deve apparire contraddittorio un personaggio che pur di difendere la legge non si crea alcun  problema ad ergersi al di sopra di essa. Proprio per questo, però, necessita di un identità segreta perché colui che trasgredisce, se pur per un buon fine, ciò che non si dovrebbe, non potrà mai essere Bruce Wayne,  cittadino obbligato a seguire le vie della legalità per impedire che passi tra l'opinione pubblica un idea contrario al rispetto delle regole, ma dovrà essere Batman una figura misteriosa che vive tra la leggenda e il mito, più una specie di anticorpo del sistema che un suo sostituto.  Nell'arco di tutta una vita editoriale, grazie a diversi autori, si sono avuti numerosi Batman dalle varie sfumature, riflessi dei loro tempi, ma in tutte queste varianti noni si è mai avuto un crociato incappucciato che non difendesse le istituzioni di cui ha sempre riconosciuto la loro notevole importanza. Anzi, si potrebbe dire che Batman stesso sia un istituzione attraverso il suo stemma simbolo universale di giustizia che, non a caso, nell'universo delle sue avventure non è l'unico ad ostentare e non sempre chi lo indossa è direttamente collegato a lui, come a sottolineare che nemmeno il Batman originario è più importante dei principi che il simbolo incarna e diffonde. principi che di fatto, se si esula intelligentemente la componente fantastica sono un instancabile difesa a tutto quel che di giusto vi è nella nostra società occidentale, condannando aspramente tutto quel che c'è di sbagliato e cercando con ogni mezzo di migliorarla sempre più. Un miglioramento costituito da profondi principi di rispetto e non, diversamente (e qui torniamo alla nostra principale questione) dall'ormai famigerato atteggiamento del Movimento Cinque Stelle sempre pronto a usare più toni forti che diplomatici, offese più o meno velate, additando ogni componente del sistema odierno come marcio, corrotto per natura e non scelta. Un approccio totalmente avverso a quelle istituzioni, leggi e principi che "il" Batman difende con tanta tenacia contro tutti e tutto. Seguire le avventure di un personaggio può essere comunque piacevole anche quando questo non rappresenta esattamente la nostra filosofia, ma perché sventolarne la bandiera in modo così vistoso se nella vita di tutti i giorni spingiamo l'acceleratore su tutt'altro fronte. Cosa ci può mai essere che ci emoziona così tanto pur essendo totalmente in contrasto con le nostre idee? Devo pensare che non si abbia la minima idea di quel che si legge o si vede? In fondo esistono così tanti supereroi che ce n'è sicuramente uno per tutti i gusti, più o meno è per questo che  Superman non è rimasto solo per molto tempo. Non capisco perché si debba scomodare sempre i soliti figuri, a maggior ragione se gli costringiamo in ruoli che non gli competono.  Quindi consiglierei caldamente a tutti i simpatizzanti Cinque Stelle di riflettere sul quel che gli piace e sui perché, potrebbero avere notevoli sorprese. Personalmente potrei suggerire Banshee un noto mutante che, in quanto a urli, non è secondo a nessuno, nemmeno a "vociatore" provetto come Grillo, o forse si teme che gli possa scalzare il trono di leader?