giovedì 24 dicembre 2020

Maratonda

Abeti finti o veri, addobbati o illuminati, alberi e alberelli di ogni genía; palle, palline, pallottole, anche, ma solo all'ultimo dell'anno; scatole impacchettate, incartate, infiocchettate, nascoste ed ammassate, sotto ai letti, negli armadi, nei ripostigli, in ogni dove; dolci e dolciumi di ogni tipo, guerre di panettoni e pandori con o senza canditi, uvetta o zucchero a velo, infarciti o meno di cioccolato, crema, gelato, bastoncini di zucchero bianchi e rossi e ogni altro colore deciso dalla Coca Cola; luci , lucette e luminarie varie su tetti, finestre, per le strade , se siete affetti da epilessia non uscite per un mese per favore; duelli all'ultimo sangue, assalti alla baionetta, arrembaggi, massacri e parenticidi tra le corsie dei supermercati e sullo sfondo promozionale di un centro storico più in vendita di una meretrice medievale; ritorni a casa Gori con parenti serpenti, bimbi belanti, piagnistei tra un contorno ed un altro, scambi materiali forzati, che vi costringono a spendere per chi vorreste solo abbattere, ma se avete le palle ve ne uscirete prendendo senza dare un bel niente, insomma, benvenuti a Natale!

Se di tutto questo non ne avete o ne avete, decisamente, abbastanza ho la soluzione giusta per voi.
In attesa della fatidica mattina del 25, imprigionati nelle nostre alcove dal solito DPCM by Conte MC, vi propongo 5 film rigorosamente tratti da fumetti per una maratona diversamente natalizia.


In quinta posizione, per togliermi subito il dente, così non ne parlo più, Iron Man III.

Diciamocelo, da quando la Marvel ha inaugurato il suo Universo Cinematografico avendo un successo non da poco, per usare un eufemismo, ogni anno è un anno Marvel. Nel bene o nel male o meglio, nella qualità o nell'approssimazione, i suoi supereroi ci accompagnano in ogni stagione e sembrano non volersi fermare. La mia formazione con l' universo di Stan Lee, ahimé mi ha impedito non poco di apprezzare questo globale fenomeno di massa ed Iron Man, personaggio bandiera, che tolleravo male anche prima, è certamente la figura per me più odiosa. Il talento di Robert Downey Jr. è però perfetto per il Vendicatore in armatura, specie in questa variante cinecomica quasi panettone, ma mai troppo distante dal cartaceo. Il connubio fatato che ha posto le basi per un vero e proprio Ironman-verso di cui l'eroe multimiliardario è il suo Superman, quando, nei fumetti è solo un Batman di una squadra arrivata seconda dietro ai Fantastici Quattro e che nessuno, popolarmente parlando, si ricordava se non per essere l'omino coi baffetti che ha costruito lo scomparto segreto della camera dell'Uomo Ragno nella serie "...coi suoi fantastici amici."


Oggi le cose sono totalmente ribaltate (e la mia natura di storico del fumetto ha una continua acidità di stomaco per questo) e col terzo capitolo dei film dedicati a Tony Stark si doveva concludere una trilogia per quella pellicola che ha dato il via a tutto, ma il regista responsabile, Jon Fraveu, ormai Happy Hogan, guardia del corpo di Testa di ferro, per un allineamento non così unico ad Hollywood, di astri e pianeti, non è tornato al timone del progetto. La virata di rotta è stata drasticamente caustica. Shane Black, regista sempre brillante, famoso per un cult dal nome Kiss Kiss Bang Bang, strambo mashup tra "Iron Man e Batman Forever", fu scelto per la supplenza e come spesso accade in questi casi è stato molto più divertente delle lezioni precedenti. Il marchio MCU è sempre lì in primo piano con una banalizzazione senza vergogna di uno dei cicli moderni più importanti e rivoluzionari per il supereroe stesso, Extremis, del genio Warren Ellis; un plagio (o triste coincidenza) di The Dark Knight Rises con tanto di elmetto rotto in locandina esattamente come la Bat-maschera nolaniana ed una struttura cinecomica vetusta, che ricorda più, appunto, un Batman Forever, che un prodotto odierno, a partire dalle motivazione del cattivo di turno identica se non peggiore dell'Enigmista di Jim Carrey. Tutto il resto è però oro: finalmente ci si diverte con il Tony Stark di Robert senza scadere in una tamarreide pensata ad uso e consumo del populismo più basso e diffuso, ma soprattutto l'idea di un terrorista anti americano, il Mandarino, nemesi per eccellenza dell'eroe corazzato, un Bin Laden contemporaneo, che non è affatto quel che sembra è più che vincente: è l'ennesima trappola perfetta per i razzisti e i Mandarini del Fandome fumettistico che non si arrendono in termini nazisti al loro tempo ormai molto e sepolto. E solo per questo non potevo non innamorarmene.

Ah, e poi è ambientato a Natale!


L'esercito dorato

Non mi ricordo nemmeno com'è stato accolto Hellboy II: the Golden Army, ma probabilmente è uno dei tanti flop che amo alla follia (un giorno farò un articolo solo su questo), visto e considerato che non c'è mai stato un Hellboy III.

Quando lo vidi la prima volta ne rimasi estasiato, sta al personaggio di Mike Mignola e al regista Guillermo Del Toro come il Cavaliere Oscuro sta a Batman e a Nolan. Il primo Hellboy di Del Toro già mi era piaciuto, con quella classica parabola di un Superman infernale con un po' dell'Arma X Marvel (Wolverine, ndr), in scena su una sensibilità filmica perfettamente in linea con lo spirito del fumetto, incominciando dalla straordinaria unione di vecchie e nuove tecnologie di effetti speciali. che rendono ogni visione deltoriana più reale del reale. Al secondo capitolo, però, la struttura classica del cinecomic precedente lascia spazio ad un fantasy urbano summa di molti degli archetipi fantastici di fiabe, favole, miti e del genere di Tolkien. Del Toro dà sfoggio della sua immaginazione sfrenata e crepuscolare in connubio con Mignola, papà di Hellboy, in un film solo apparentemente semplice e tradizionale, ma che ancora oggi, nonostante la lentezza che ormai possiamo avvertire, evidenzia tematiche fortemente attuali. Oltre il solito tema della diversità, del dylandoghiano “i mostri siamo noi (e chi sguazza nella mediocrità, aggiungo io)”, ora più che mai notiamo sfumature assai interessanti. Il possente Hellboy passa da un anti-cristo ed anti-superman positivo, ad anti-iron man per tornare inevitabile al mostro di Frankenstein qual è, passando da Quasimodo. L'infernale Compagnia alla Mago di Oz del Red del perfetto Ron Perlman, leone dal buon cuore che dovrà trovare il vero coraggio dalla sua irresponsabile sfrontatezza, del razionale “uomo pesce di paglia d'acqua dolce” alla scoperta delle emozioni e sentimenti del cuore di Doug Jones, ora in viaggio sulla Discovery trekkiana, la nuova aggiunta di un saggio omino di latta “gassoso” che scoprirà il valore dell'amicizia al di là di regolamenti obsoleti e l’infuocata Dorothy della magnifica Selma Blair scomparsa dalla cine-circolazione, ci accompagnano in una riflessione del morbo populistico dei nostri tempi, delle crudeltà che alcuni uomini impongono ad altri a causa di culture differenti, di nazioni rinchiuse in riserve che appaiono lager, affamate e dimenticate dal resto del mondo, del razzismo di fronte al diverso che si insinua nella nostra casa collettiva, dell'immigrazione e i Salvini che vi sono sempre stati… ci ricorda che non dobbiamo mai fidarci di "un gruppo di francesi"...ooops di Americani con le torce in mano, in un gioco dell'oca irreale e stupefacente.


Le quattro tartarughe-mostri paranormali del secondo capitolo del ragazzo diavolo saranno un'ottima e avventurosa compagnia per la notte buia e oscura, come tutte le notti, della vigilia portandovi in dono, in fondo, veri valori natalizi dell'accettazione del prossimo, dell'altruismo, del volemose bene a tutti i costi e della famiglia che finiranno a formare.


E se di famiglia parliamo (a Natale è d'obbligo) non possiamo non menzionare la famiglia migliore di sempre: gli Addams.

Prima di Rick & Morty, prima dei Griffin, prima dei Simpson, prima dei Flintstones? C'erano gli Addams: gotici, grotteschi, assurdi, bizzarri, strampalati, macabri, forse persino horrorifici, araldi del black humour.


Chi non li conosce? Dalla classica idea che molto denaro porta molta eccentricità, nasce questa famiglia di mostri, assassini, eretici e chi più ne ha più ne infilzi, appartenente a quel filone in cui la normalità è l' unica vera cosa di cui temere, dietro una lente decisamente comica e leggera. Ma forse non tutti sanno che prima del fenomeno televisivo che diventarono erano una strip a fumetti di, appunto, il Sig. Charles Addams. E forse, ancora più raro è riuscire a leggerli, almeno in italiano, perciò scongelate il piccolo capolavoro di comicità che è la pellicola cinematografica del 1991 del mitico Barry Sonnenfeld (qualcuno ha detto Men In Black?). Il primo lungometraggio moderno dedicato a questa famiglia ben poco ordinaria risulta ancora oggi praticamente perfetto, sia rispetto al materiale originale, che come autonoma commedia cinematografica. C'è davvero ben poco altro da dire se non guardatelo, guardatelo e riguardatelooo! Inizia a Natale e finisce ad Halloween, insomma un Nightmare Before Christmas di pungente ironia all'incontrario e, ancora una volta, come tante opere per famiglie, parla efficacemente del vero senso di quest'ultima, al di là di tutte le patinate apparenze occidentali. Il clan più sinistro e simpatico mai concepito, non può che entrare nei vostri cuori, coi suoi anti-valori e le sue assurde disavventure a contrasto coi veri mostri della società: persone ordinarie dal cuore di catrame. 

Non ve ne pentirete, parola di bollitore di bambini!




Dì soltanto una parola…

...ed io sarò salvato!

E la parola è Shazam!


Direttamente dal magico mondo DC Comics un eroe che più natalizio non si può. È un bambino, ma è anche un adulto, è un orfano, ma ha una famiglia, è un mago, ma veste come un supereroe, è il Peter Pan degli eroi in calzamaglia made in USA e vive avventure tra la fiaba e la super-criminalitá. È il sogno pazzesco di ogni nostro bimbo interno, atavico ed innocente. Una volta si chiamava Capitan Marvel ed è stato il primo, in assoluto, con questo nom de bataille, prima del character Marvel e non era ancora in casa DC. Nasceva come il Little Nemo dei supereroi, con un tratto incredibilmente favolistico ed anni luce avanti  ai suoi concartacei colleghi... e non era semplicemente un Tom Hanks in Big, ma più un Venom dorato ed eroico, una fusione unica di distinte figure.


Ma il tempo passa e i nomi incontrano problemi legali, i personaggi Crisi e reboot ed infine il fumetto sbarca al cinema. L'adattamento a 16:9 dello svedese ed horror David Sandberg, raccoglie agilmente tutta la simpatia e l'atmosfera di questo supereroe magico, portandolo ad un presente sorvegliato dai membri della Justice League di Batman e co. Zachary Levy è una rivelazione nei panni dell'adulto e metaumano Billy Batson ed Asher Angel, nomen omen, è il giusto mix di faccia d' angelo e da schiaffi utile per una contemporanea e credibile versione dell'orfano anti-crimine. La parabola infantile e pre-adolescenziale esce prepotentemente fuori dalle oscure ombre finemente lavorate dello Snyder-verso con semplice genuinità senza mai scadere nella commedia superficiale e burina del primo MCU. Il divertimento è assicurato e anche una buona dose di calore natalizio in un cinecomic in cui il concetto di famiglia è centrale, quanto il coraggio di mostrare che il sangue è proprio l'ultimo mattone su cui fondare profondi legami di amore fraterno. Ritorneremo ragazzini spensierati che non si arrendono davanti ai drammi dell'esistenza e ci nutriremo di speranza con la squadra di Power Rangers saettanti migliore di sempre: quella di Billy e dei suoi fratelli d'ideali. Sì spreca pure la meta-narrazione del meta-cinema dell'universo DC Comics, sia fumettoso che cinematografico, con una sorprendente dose di easter-egg, inside joke, ma soprattutto tanta, tanta autoironia. Sicuramente il miglior cine-super-comic a tematiche classicamente natalizie per tutta la famiglia sulla proverbiale piazza. 


Dulcis in fundo, per chiudere la nottata come si deve, un capolavoro della categoria venuto alla luce (o dovrei dire alle ombre) quando ancora questa non era minimamente considerata. Erano gli inizi degli anni ‘90 e ancora si sentivano gli eco dei decadenti 80's, che la Warner Bros. volle bissare il successo del Superman di Reeve e Donner, con un'altra sua grande proprietà: Batman. In mano a quello che diverrà un regista con la R maiuscola, originale, di culto e di qualità, Tim Burton, profondamente segnato da atmosfere lugubre e grottesche, che sembrava perfetto per un personaggio che si veste da pipistrello, Batman diventa un bizzarro vigilante draculesco che zompetta qua e là con l'inquietante ghigno di Michael Keaton ed un clamoroso successo commerciale dell'89! Ma come capiterà in parte a Christopher Nolan, è solo col seguito del primo Batman, che Burton dà il meglio di sé , di tutta la sua autorialità asfaltando come uno schiacciasassi l'essenza del personaggio. Batman (II) - Il ritorno, con questo titolo da action di bassa lega, ormai demodé, è un capolavoro gotico, una novella nera e straziante sulla diversità (ancora ritorna questo tema sempiterno) e soprattutto sulla crudeltà dell'incubo americano. La pellicola meno fedele e più liberamente ispirata ai fumetti di Batman, ma certamente il migliore in termini narrativi prettamente cinematografici dei due film diretti da Burton. In questa girandola tetra di personaggi e non di eroi o criminali, definiti più dall'occhio dell'opinione pubblica che dalle proprie azioni, di freak colpevoli solo di voler essere se stessi, precipitiamo in caduta libera attraverso tutti i vizi e le deformità del moderno occidente. Vi è davvero tutto in questo cinecomic di decenni fa: l' eroe e l'anti-eroe, il sessismo, il femminismo, la filosofia satanica e cristiana, la critica feroce ad un ancor più feroce capitalismo, la società dell'immagine, la manipolazione dei media, l'infanticidio, etc, etc. In questo Canto di Natale oscuro e malinconico si elevano nuovi e vecchi attori del mondo dell'uomo pipistrello generati come lo Zio Paperone egoista ed indifferente privo di ogni minimo scrupolo se non quello del proprio personalissimo profitto fino all'assassinio più efferato, Max Schreck, o stravolti come l'anti-cristo circense e berlusconiano, rancoroso ed infantile, seppur triste vittima dei costumi di questa società al punto da farci credere alle sue dubbie ragioni, Il Pinguino o la paranormale Catwoman, donna-gatto, donna-schiava, repressa dal maschilismo più o meno strisciante, che muta in folle sogno erotico maschilista, amazzone e vendicativo dominatrix. Il tutto in un delicato equilibrio di ruoli e vocazioni in cui nessuno è veramente un meritevole salvato o un immacolato salvatore, ma semmai un bizzarro giocatore rivolto contro il suo simile dalla violenta mediocrità dell'uomo qualunque.


Ed ora possiamo davvero chiudere gli occhi in attesa dei regali del mattino.

Buon Natale a tutti!

martedì 6 ottobre 2020

Oltre la barriera della super velocità

Nell'immaginario comune contemporaneo se c'è un paese che è diventato portabandiera della pena di morte è sicuramente l'Unione degli Stati Nordamericani. Un'immagine consolidata nel tempo, specie per noi al di qua dall'oceano, grazie a cinema, letteratura, storia e, non ultima, la propaganda politica. E se c'è un editore di fumetti statunitense che ha fama di andare molto poco controcorrente rispetto alla cultura dominante e alle varie volontà governative susseguitesi nel tempo, quella è la Dc Comics, casa di Superman e Batman. I suoi eroi, soprattutto tra gli anni cinquanta e sessanta, sono sempre stati grandi sostenitori della legalità, dei tutori dell'ordine e di ogni altro principio nato nel rispetto dello Stato e della Patria. Non a caso in un episodio della serie tv di Batman di quegli anni, conosciuta oggi come “camp” e famosa per il suo non ufficiale tono parodistico (anche se a vederla viene da chiedersi fino a che punto quella pantomima fosse così involontaria), ricorda che lui e il suo aiutante Robin “spalleggiano la legge”. Molte figure di spicco della casa editrice vengono ricordate, talvolta, come simboli di politiche e filosofie di destra, favorevoli al cosiddetto imperialismo americano e catalogate quindi quali esponenti Repubblicani degli Stati Uniti d'America. L'idea diffusa di questi eroi al fianco di una mentalità che trova in misure estreme un fondamento necessario al favorire un ordine pubblico sempre più immacolato, non può che lasciarci sorpresi nella scoperta di un Flash simbolicamente contrario alla succitata pena capitale.


In un albo speciale edito da RW Lion per le feste natalizie del 2014, viene pubblicata una storia dedicata al Velocista Scarlatto ripresa da Dc Special 11 del Febbraio 1978, che si apre proprio con l'esecuzione solenne e drammatica di uno dei maggiori nemici di Flash. Gorilla Grodd, un gigantesco gorilla umanoide e telepate, appartenente ad una intera civiltà nascosta di scimmie dotate di intelletto superiore, viene condannato a morte dai suoi stessi simili: su una sedia, legato per polsi e caviglie e con una fascia sulla testa che ricorda tanto la cuffietta della famigerata sedia elettrica. Una scena assai simile a quella con cui, ogni giorno, i cittadini americani convivono, debitamente traslata e adattata al mondo fantastico dell'eroe scarlatto, ma non per questo meno forte e realistica. Difficile è pensare che l' autore di questa avventura, Cary Bates spalleggiato da illustratori da manuale quali Irv Novick, Jose' JG Lopez, Kurt Schaffenberger, Alex Saviuk, Joe Giella e Murphy Anderson, non voglia dirci qualcosa in merito, mentre sfogliamo, pagina dopo pagina, l'ennesimo episodio di quella fantascienza incredibile e un pochino assurda che ha reso popolare il mondo di Flash. 


Il dubbio aumenta significativamente, quando, all'inizio della seconda metà del racconto, suddiviso in tre parti con protagonisti Flash diversi per ognuna di esse (il giovane aiutante del supereroe Kid Flash per i lettori adolescenti, il vecchio Flash degli anni'40 per omaggiare la vecchia guardia e il Flash odierno per gli appassionati contemporanei), Barry Allen, venendo a conoscenza della fine del suo rivale ammette di essere “scosso”, che in lui albergano “reazioni contrastanti” in merito alla fatale decisione di quella società di scimmie e che non dà un sicuro sostegno morale alla pratica, come il pensiero comune ci avrebbe indotto a pensare. Dilemmi che scopriamo essere appartenuti anche alla comunità di questi super primati in cui, come in quella degli uomini, vi erano individui favorevoli ed altri fortemente contrari al condannare il “malvagio” Grodd ( per onor di cronaca devo ricordare che questo personaggio è veramente uno dei più cattivi e potenti di tutto l'universo Dc). Tra i contrari c’è l'alleato di Flash Solovar, che ricorda ai suoi fratelli: “Non dobbiamo permettere alla paura di offuscare la ragione”. Una ragione sinonimo di cultura e buon senso che purtroppo in molte parti degli Stati Uniti fu ottenebrata e che del resto in alcuni casi lo è tutt'oggi.

Nonostante le buone parole, come sappiamo, la nemesi del nostro eroe viene messa a tacere, ma, se questo può consolare (ma può davvero farlo?), in nome di una democrazia ben raffigurata dal rispetto che porta il saggio Solovar ad un risultato di una votazione di cui, possiamo facilmente immaginare, non possa essere stato molto contento. Lo stesso Flash commenta questa decisione collettiva con un termine che difficilmente può lasciar spazio ad interpretazioni troppe favorevoli alla pena di morte: è stata, secondo lui, un po' troppo frettolosa. Infine viene insinuato che la condanna a morte del “cattivo” sia stata incentivata da Grodd stesso, la cui immagine di vittima ci appare improvvisamente sovrapporsi a quella di carnefice: la pena di morte non è altro che un’oscura idea partorita da una mente ancora più oscura e, quindi, implicitamente da scartare e condannare. Come evidenzia bene Barry parlando con Solovar, al momento della definitiva scomparsa di un individuo, non possiamo più sapere cosa avrebbe fatto in una determinata situazione, né il perché o il quando. Terminando il soggetto cancelliamo automaticamente ogni eventualità di comportamento, negativo, ma anche positivo ed è quest'ultimo dettaglio che pare proprio stare a cuore a Flash.

Ancora una volta il Velocista Scarlatto ci appare non solo come un campione della legalità (nella rappresentazione, ad esempio, della democratica votazione delle scimmie), caratteristica veramente tipica del personaggio di Barry Allen, ma soprattutto ci dà un piccolo spunto di riflessione, che se non può concretizzarsi con un messaggio completamente abolizionista, punta comunque il dito sull'annosa questione della pena di morte a soli due anni dal suo effettivo rispristino da parte della Corte Suprema Americana. Nel 1976, infatti, a seguito delle varie tensioni etniche e sociali che scuotevano il paese tra i bianchi benestanti, gli afroamericani e ogni genere d'immigrato, venne reintrodotta la pena capitale, cancellando così i passi in avanti compiuti a cominciare dalla fine della prima metà degli anni sessanta fino a quel momento, con un intero decennio nel quale la pena di morte era stata poco applicata, o del tutto sospesa.

Attualmente gli stati nordamericani che non applicano la pena di morte sono 19, più il distretto di Columbia e Porto Rico, contro i restanti 23, più otto che non eseguono condanne se non in casi eccezionali.

Pensando a questo contesto storico mi è difficile non etichettare l'albo come un piccolo e coraggioso atto di rivoluzione culturale, ma forse è tutto frutto di una cattiva interpretazione, della mia mentalità sognante che mi porta a vedere un 'isola che non c'è o, in questo caso, un eroe migliore di quel che non sia veramente.

Oro-b-Oro

Il termine capolavoro è dannatamente soggettivo e relativo, finché , almeno non vi è un'élite che ne definisce i parametri. Sarà per questo che Tenet, il “cosiddetto” flop firmato Christopher Nolan mi ha travolto come un treno in retromarcia, o forse perché, a me, l'élite, stanno maledettamente sulle ruote motrici.

Oggi poi, orfano di una casta di critici degna di essere denominata tale (e neanche minimamente all'avanguardia), farsi condizionare da pareri di chi semplicemente ha voglia di tirar sfere di sterco su chi, al contrario di lui, è capace di creare qualcosa, è solo uno spreco di tempo.

Il mondo dell'intrattenimento attuale manipola, divide e conquista il proprio pubblico con trailer, annunci, teaser, hype, sino a giungere al paradosso di uno spettatore che non si fa più un giudizio, ma ne viene plasmato. Nel mondo dell' ”invasione delle ultraserie”, in cui ogni giorno siamo investiti da una quantità di storie (come non mai probabilmente la storia umana ha registrato), abbiamo perso il valore delle basi accademiche della narrativa, in una smania di rottura, che è così diffusa e omologata da diventare solo un nuovo sistema senza più nulla da dare. Solo l'equilibrio tra i due estremi può dare risultati eccellenti e, quando è un architetto certosino come Nolan a tenere la bilancia, non dobbiamo aver paura che un piatto penda più dell'altro.

L'ennesima brillante intuizione del padre della trilogia del Cavaliere Oscuro, in linea con le mode del momento, pescando un po’ da Dark (una delle serie Netflix più riuscite) e un po’ da 007, presenta una personale versione del genere spionistico ed un omaggio all'avventuroso e appassionante romanticismo di Sir James Bond.

Non potevamo chiedere di meglio per consolarci di questo orribile 2020!

Carismatico e riconoscibile, come solo le grandi rielaborazioni di generi e dinamiche narrative sanno essere, con uno stile visivo (e non) nuovo ed autoctono, ci racconta una storia classica (si dice “vecchia” solo se è cucita male), in modo fresco ed avvincente, aggrappandosi a giganti quali Asimov e Shakespeare.

Con poche parole ed una semplice, ma azzeccatissima idea, Nolan crea un intero universo da cui potremmo trarre serie, fumetti, romanzi, film pressoché infiniti.

Le telefonate allo spettatore sono salienti rimandi e trepidanti attese di stampo giallistico e non banalità (ancora una volta, questo termine verrebbe utilizzato se avessimo una sceneggiatura scritta coi piedi), in un sorprendente gioco metanarrativo di almeno tre livelli, che ci conduce ad un traguardo metafisico e filosofico.

Ed il bello è che questo rewind nolaniano non ci annoia un secondo, ci fa viaggiare per le terre della fantasia, dell'emozione e dell'elucubrazione intellettuale, senza fermarsi un momento, senza lesinare esplosioni, inseguimenti d'auto, combattimenti, sparatorie e tutti i colpi dell'action più americano e caciarone sulla piazza, ovviamente con l'originale visione di Chris.

Tenet è l'ennesima potenza di un "Attacco al potere" e al contempo un "L'esercito delle 12 scimmie", in stile british ma pieno di adrenalina, come poche pellicole sanno essere. Godetevi quest'esperienza culturale unica (magari al cinema in una sala Imax, fidatevi), che non ritroverete tanto presto in altri film (a questo livello, o meno) e scegliete voi se è o non è un capolavoro: non fate decidere a qualche casa cinematografica concorrente, toccate con mano, pensate con la vostra testa e divertitevi nello scoprire se vi piace.

In ogni caso sarà “andata com'è andata”. 


venerdì 19 giugno 2020

Che Joker di film!

Curioso come, talvolta, le cose capitino nella vita. Curioso, infatti, che sia riuscito a vedere l'osannato Joker con Joaquin Phoenix solo ora, in questi tempi di proteste targate #blacklivesmatter, di sommosse popolari in nome di George Floyd e tutti i neri e non vittime dell'orrendo abuso di potere delle forze dell'ordine.

Ma soprattutto di polemiche su statue abbattute e disclaimer su vecchi film razzisti. Curioso perché la pellicola DC Comics ne avrebbe dovuto avere almeno venti di disclaimer, se dobbiamo farci trasportare da questa logica. In assenza di essi il risultato è stato un equivoco tragico tra opera e pubblico, in questo, più che mai attuale, in modo terrificante. Joker è una carrellata Marvel di ogni stortura possibile ed immaginabile del sistema statunitense cucite tra loro soltanto da un insieme di performance stellari di un Phoenix all'ennesima potenza, perfino troppo. E ci sono tutte: dal problema risaputo della sanità, mentale e non, agli abusi, appunto, delle forze dell'ordine, alla stronzaggine diffusa dal sistema capitalistico, dal problema delle armi, alla ghettizzazione, dalla povertà, ai sogni di popolarità mediatica, etc... Purtroppo questo apprezzabile indice delle ingiustizie d'America affetto da un insostenibile bradipismo non porta assolutamente a niente, nemmeno sul campo emotivo.

Quando si tratta di film ispirati a fumetti nasce sempre una guerra civile tra chi è esaltato dal lavoro del regista di turno (me ad esempio 😁) e chi non accetta altre versioni che quella cartacea, nonostante l'ultima possa apparire sul grande schermo ormai ridicola e obsoleta. La verità è che ogni interpretazione è valida ed in quanto tale va accettata, indipendentemente dal proprio gusto, ma la migliore rielaborazione obbligata dal 16:9 di un determinato personaggio sarà sempre quella che, aldilà delle novità introdotte, riesca a mantenere il suo spirito originario. E scusate se non riesco a trovare qui il Principe Pagliaccio del Crimine che ho imparato ad amare e temere. Certo, è un' origin story, ma le ottime idee alla base del film, dal mitico Arham Asylum al movimento dei clown e come menzione speciale la rivisitazione della classica scena dove il futuro supereroe salva un passante da alcuni balordi di strada consacrando la sua vocazione, in chiave anti eroica (e riprendendo fiato credo di averle elencate già tutte🤣) viaggiano troppo dirette e sicure sul binario della patologia, rendendo il letale avversario dell'uomo pipistrello non più di un patetico idiota malato.

È vero, questo errore potremmo riscontrarlo anche nella tanto acclamata graphic novel di Alan Moore, The killing joke, primissima ispirazione del regista Todd Phillips, ma non può essere una giustificazione.  Mi piacerebbe dire sinceramente a lui e al suo amico sceneggiatore:ragazzi avevate buone intenzioni, anche alcune brillanti idee ed è evidente una certa passione per il character, ma, come in politica, la buona volontà non basta. Vorrei dirgli col cuore in mano, senza astio, più con affetto, che non è sufficiente riprendere più del necessario un attore da Oscar che si accascia in un vicolo per fare del cinema di alto livello o usare font antiquati, filtri vintage, usare al 90% scene di dialoghi, senza un briciolo di ritmo ed azione o inserire un vero capolavoro come Tempi Moderni di Chaplin per farne un altro. Mi piacerebbe davvero perché la sensazione che ho avuto non è quella di un figlio d' incompetenza tecnica, ma di quella cultura artistico-sociale parziale e viziata proprio da quegli ingraggi che si vuol mettere alla gogna. Quel che di solito è il fascino sinistro, horror, quasi esoterico, della nemesi di Batman, dell'incognita sulla sua integrità mentale è qui spostato scioccamente sulle vicende della storia stessa rendendo completamente futile ogni tenua e superficiale critica al solito sistema cattivo e malvagio. Questo Joker appare quasi un patchwork delle future nemesi del vigilante di Gotham: Il Pinguino, Due-Facce, Bane pure Mr. Feeze (o dovrei scrivere Sig. Frigo?), sono tutti in lui . Un' idea potenzialmente interessante, ma che lascia il sapore di un minestrone senza capo né coda, di una mancanza d'idee veramente pertinenti al buffone assassino, sminuendo non solo la sua figura, ma anche il lavoro dell'amato Joaquin che a tratti muta in una caricatura d'attore che sfiora il ridicolo. Nei panni di Arthur Fleck dice che la sua vita è una commedia, chissà se è anche quel che gli è venuto in mente dopo aver visto il film a montaggio ultimato.

Joker è un infantilismo cinematografico che pecca di superbia scimmiottando malamente Nolan e Snyder, veri maestri nel trasportare personaggi dalla carta alla celluloide, creando (inconsciamente?) così un falso film d'autore per le masse. Un prodotto ad hoc per chi ama uscire dai cinema soddisfatto, dandosi arie da critico, ventilando sedicenti buchi di sceneggiatura, senza sforzarsi minimamente per farsi il bagaglio culturale necessario ad esserlo, per chi crede di aver visto un capolavoro perché sa di aver visto scene come quelle di quei film impegnati di cui sente parlare, senza possedere gli strumenti per capire se il suddetto impegno vi sia realmente ed ama vantarsene nei fast food, felice di far parte di qualcosa di epocale, ma l'unico messaggio che coglie, come al solito, è quello delle apparenze. Apparenze che in questo caso si traducono nell'esaltazione dei Di Maio di tutto il mondo, del populismo e del grillismo odierno, senza se e senza ma. Infatti, se questa visione risulta, infine, inutile, noiosa e tronfia non si può dire lo stesso della sua esistenza, che con un geniale effetto di meta-cinema si rivela, un pó come il Far From Home di Spider-man, una parabola vivente sul qualunquismo odierno che appesta e devasta le culture delle nostre società.
Illustrazione de Il Fumettofago
Chi s'infiamma e si rivede eccitato in questo Joker è chi, come ci ricorda Wayne, non è in grado di costruire niente per sé e per la collettività se non una lamentela sterile e bizzosa contro le "diaboliche caste" dei "poteri forti", il mediocre e il burino, insomma, che prende coraggio solo in un gregge dalla violenza facile nascondendosi vigliaccamente dietro ad una maschera, magari di qualcun altro. Un' auto esaltazione della mediocrità e dell' ignoranza che rischia di essere piuttosto pericolosa data in pasto ad un popolino, come cantava Caparezza, col cervello piccino direttamente proporzionale alla sua arroganza. Una rivincita dei senza talento, delle chiacchiere da bar, fondamenta della cultura dell'odio sdoganata dai media e social dell'epoca dei Salvini e dei Trump in cui anche chi ha ragione, come i manifestanti contro il razzismo in U. S. A e U. K. può diventare facilmente il nemico, un ennesimo avatar della rabbia cieca e incontrollata. In fondo, sono loro il vero villain, altro che Joker, povera, penosa, vittima di un' America orribile, ma questo lo sapevamo già, non ci serviva certo questo semi plagio a Scorsese a ricordarcelo, bastava aspettare il 25 maggio 2020.


martedì 14 gennaio 2020

Dc Sandwich

Squillino le trombe, rullino i tamburi, lucidate le armature e fuoco alle polveri: Panini è il nuovo editore italiano della DC Comics!
È la notizia della settimana : la tanto odiata RW Lion è stata finalmente costretta a cedere lo scettro DC al Regno (mai Kingdom come fu più profetico🤣) dei calciatori e dei Marvel Zombie! E sono sicuro che voi nerd starete già festeggiando, rompendo il maialino della nonna e stappando una bottiglia di burrobirra presa su Amazon. Non questo fanboy qui, però. No, non per giocare a fare il Namor o l'Oliver (Queen, per par condicio😂) di turno (vediamo chi la capisce), ma semplicemente non riesco a far i proverbiali salti di gioia. Non farò nemmeno l'elogio del "si stava meglio quando si stava Lion" per un editore che si è tirato più zappate sui piedi di un contadino strabico, né il complottista sul malefico Impero di Pa(lpatine)nini, ma, ahimé, il panorama che si delinea non è dei migliori. I diritti dell'universo di Superman e Batman staranno certamente bene in casa Panini, ma adesso, quest'ultima ha quasi il monopolio dei fumetti. Con la recente acquisizione del comparto Disney (sui cui dipendenti del suo settimanale ammiraglio tentò un vergognoso ricatto tramite un ricollocamento senza se e senza ma, degno della peggior imprenditoria paesana) e certamente dei supereroi, mettendo Marvel e la Distinta Concorrenza sotto lo stesso tetto. Una formula che già adottavano in altri paesi, come la Germania ma non in Italia. Un divertente paradosso ormai già caduto nell'oblio. Non so se in questi altri paesi tengano ancora le redini salde, ma qui da noi stringono il pugno in un poderoso guanto dell'infinito!
Mi ha fatto piacere sapere che il volto e l'anima di quel che era la realtà quasi cooperativa di Marvel Italia, poi entrata in seno a Panini ed apripista per il suo settore fumetti, M. M. Lupoi apprezzasse anche qualcosa di DC (o ha dovuto per contratto faticosamente cercare disperatamente in una soffitta impolverata qualche vecchio e stropicciato albo acquistato per errore?) e che fosse pre-Crisi, ma le domande sorte spontanee sono molte.
La qualità di spillati e cartonati rispecchierà quella Lion? No, perché finora, con tutti i suoi difetti questo era un punto su cui batteva Panini a mani basse. Certo i primi tempi proponeva grafiche con dettagli e refusi imbarazzanti, ma poi, fortunatamente c'è stato un discreto miglioramento...
E i sei membri classici della League avranno una testata ciascuno, come meriterebbero loro e le rispettive Family, o assisteremo ad orribili accorpamenti in brossurati di carta straccia come ho visto nei paesi del nord? O peggio, costosi mensili-sottiletta da una storia sola, letteralmente all'americana, come l'ultima tendenza dell'editore modenese?
E la libera concorrenza dei prezzi a favore del consumatore?
E siamo davvero sicuri che Panini riuscirà a promuovere DC egualmente a Marvel, sua prima pupilla, senza, eventualmente logiche, disparità tra due colossi eternamente in conflitto in patria?
Per non parlare della varietà dell'offerta.... Etc, etc...
Credo di aver dato l'idea e lo ammetto alcune sono proprio poetiche seghe mentali da nerd (anche se, forse, non del tutto), altre però sono interrogativi che non andrebbero sottovalutati per un panorama editoriale più sano e democratico (eh, sì, sono un comico nato, lo so, grazie, grazie, basta applausi).
Lucidate pure i portafogli per un’edizione ricamata a mano dalla nonna di Lupoi de Il ritorno del cavaliere oscuro, se volete, ma prima di contribuire ciecamente al deposito dorato con la P cubitale ci penserei un po’, in fondo si può sempre imparare l'inglese. Arricchisce sicuramente di più.