lunedì 2 dicembre 2019

La fantasmagoria di cui avevamo bisogno

Non ho ancora visto il chiacchierato Joker con Phoenix, ma per la prima volta ho visionato il trailer di Birds of Prey and the fabulous emancipation of the Harley Quinn. 




Non farò il nerd idiota sciacallando sulla democristiana traduzione del titolo italiano, a quanto pare emancipazione e donna è ancora un'accoppiata troppo fastidiosa, ma su ben altro. Pochi secondi di video, una musica azzeccata (vintage e profonda), una frase e mi lacera il cuore.  La verità insita nella voce di Margot Robbie è così tristemente reale da non poter essere ignorata. Eppure ogni giorno vengono ignorate le voci di migliaia e migliaia di donne picchiate, vilipese, torturate, umiliate, sotto ogni forma inimmaginabile, dall'uomo e talvolta anche dalla donna stessa. Anime intrappolate in relazioni malsane, prigioni emotive erette da carcerieri insospettabili, aguzzini familiari che abusano dei loro ruoli per distillare personali incubi senza via di scampo. Spiriti umani non dissimili dalla nota Harley Quinn, psichiatra fallita, novella lolita sociopatica, zerbino di serial killer, schiava senza appello d'incalliti sessisti violenti omicidi di massa, simbolo di un amore malato e di una donna contemporanea ancora più patogena che solo nell'assoggettarsi al suo padrone riesce a ritagliarsi un ruolo nell'ordine sociale. E forse, anzi, potrei esserne quasi certo, la femminea pellicola non sarà ai livelli di Nolan, Snyder o Big Hero Six, ma la sua tematica appare di gran lunga più rivoluzionaria e necessaria di Joker. 


Se ci pensiamo un attimo, l'evoluzione cartacea di Harley è molto più di una deadpoolizzazione di un character DC: quel che era, sostanzialmente, l'edulcorato Joker femminile della serie di Batman anni '90, donna oggetto del Clyde della situazione, ne è oggi una forte ed autodeterminata (anche nella stravaganza eroico/criminale, ben oltre la joker-fotocopia), affrancatasi definitivamente dal suo orco, un anti-eroina perfetta per i tristi tempi di femminicidio. Un riferimento per tutte le ragazze vittime di qualsivoglia violenza, che non hanno avuto la fortuna di nascere Wonder Woman, ma non per questo meno desiderose o meritevoli di giustizia. Un modello da cui attingere forza e coraggio laterali, alternative per affrontare viscidi mostri sempre più contorti e subdoli.



D'altra parte, mentre scrivo lo schermo televisivo proietta sulla mia pelle ben 10 coltellate che un uomo, maturo, altolocato, forte sotto ogni aspetto, economico e fisico, avrebbe inferto alla propria genesi nell'amorevole corpo di Ana Maria Lacramioara Di Piazza, un nome come un altro, ma ancora una persona di troppo ad averci lasciati con la sola colpa di amare. Là, in quelle terre che furono definite con culturale orgoglio Magna Grecia, una donna che non aveva nemmeno raggiunto l'età, non vecchia (non l'avrò mai, desistete), di chi scrive è perita sotto i colpi di una guerra non più così silenziosa, ma ugualmente sottile, in cui ogni gesto efferato è solo l'estremo concreto di un energia negativa che gonfia e cresce ad ogni "zoccoletta", "pacca sul culo", bodyshaming, "troia" e simili che contribuiamo a diffondere. Un cancro che nonostante le buone statistiche di decrescita degli ultimi anni ancora prospera e dilaga, proprio un blob horrorifico in mezzo a noi, anche dove ci dovrebbe essere cultura, visibile solo a quei pochi che assieme al sapere hanno la fortuna dell'educazione. 


Abbiamo un mostro da combattere, un villain metafisico dalla potenza secolare, un vero nemico che non arriva da lontano su qualche barcuccia, ma che è sempre stato qui e possiamo farlo solo tutti insieme, non abbiamo Wonder Woman o Harley Quinn, donne, uomini e bambini, da soli, senza contare su nessun dio, riponendo fiducia nell'unico super potere che ci può permettere di vincere: il rispetto reciproco.

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