Juan
Solo. Il famoso Juan Solo. Il grande Juan Solo. Il geniale Juan Solo.
Ho sempre letto pareri positivi su Juan Solo, anzi, entusiasti a dir
poco.
Non
potevo, quindi, perdermi l'ennesima edizione italiana di un fumetto
riconosciuto dai più come un vero e proprio capolavoro. Sceneggiato
da un autore la cui popolarità è seconda solo ai divi del cinema o
dello sport (non è un caso che non si sia mai solo occupato di
fumetto e il suo nome lo si può trovare facilmente su altri media
narrativi), Alejandro Jodorowski, e illustrato abilmente da George
Bless, gran maestro francese di matite ed inchiostri, viene
presentato come "uno dei
vertici narrativi raggiunti dal grande Jodorowski," e
"un'avventura meravigliosa che non può mancare nelle collezioni
di tutti gli appassionati! Un personaggio memorabile, per
un'avventura già entrata nella storia dei comics!"
Innanzi
a queste parole mi sono avvicinato all'opera nel modo più aperto
possibile, cercando di giudicare considerando ogni contesto, sia
quello descritto nella storia che l'epoca in cui il fumetto vide la
luce per la prima volta, un età non esattamente recente, con grandi
aspettative ed emozioni per quello che avrebbe dovuto diventare un
nuovo caposaldo nella mia formazione a nuvolette.
Eppure...
eppure mi sono ritrovato in mano un prodotto impeccabile solo
all'apparenza, ma che lascia alquanto a desiderare a confronto della
gigantesca fama che lo precede. Juan Solo narra la vita di un orfano
dei bassifondi sudamericani, abbandonato alla nascita a causa di una
coda scimmiesca e la sua arrampicata sociale per mezzo solo ed
unicamente di atti violenti e criminosi, manifesto di un'esistenza
segnata e condotta all'insegna della corruzione umana, senza il
minimo accenno di pentimento fino alla morte. A partire da questa
premessa le possibilità per una grande opera su temi come, ad
esempio, l'emarginazione e la diversità ci sarebbero tutte, ma la
frenetica dinamica a "palla di neve" della storia non
permette alcun approfondimento, lasciando spazio solo ad una serie di
cause ed effetto a tinte sempre più forti, come a voler giocare
sicuro grazie al sensazionalismo del fattaccio di turno. Sicuramente
non avrò capito qualcosa, ma un escamotage del genere non me lo
sarei aspettato da un qualcosa che vuole essere un po' più alto
rispetto al semplice albo di supereroi americano. L'originalità, è
bene dirlo, si fa largamente spazio solo nella costruzione dei
personaggi (ma nemmeno tutti), quasi sempre contraddistinti da
particolarità o malformazioni fisiche, in un modo che rasenta il
geniale, ma purtroppo non procede oltre. In più, leggendo altre
storie di Jodorowski si ha come l'impressione che l'inserimento di
questi veri e propri freak come personaggi sia una forte ripetizione
di idea che funziona, più che un marchio di fabbrica o una
caratteristica della sua poetica. L'intreccio della vicenda è
piuttosto banale e scontato e i diversi personaggi, anche se scritti
al meglio, non sono affatto sufficienti per sostenerla. Il tutto si
salva, almeno, per l'ottimo ritmo di lettura, scorrevole e mai
pesante, i dialoghi, i grandi disegni ed è chiaro che gli autori
sanno e molto probabilmente, per questo, proprio questo, l'amaro in
bocca che ti lascia è ancora più amaro. Di fatto assistiamo ad
un'esposizione fredda di una serie di sfortunati eventi già
tristemente noti grazie alle pagine di cronaca dei giornali di tutto
il mondo senza un'indagine, un parere, un messaggio se non
l'inevitabile consapevolezza della realtà, ma per ottenere questo
non è affatto necessario leggere Juan Solo.
Ripeto,
sicuramente sono io che non ho capito qualcosa, ma credo sinceramente
che sia il fumetto più sopravvalutato di tutti i tempi.
Probabilmente, alla sua prima uscita, avrà fatto successo e il suo
contenuto avrà scosso qualche animo, glielo concedo, ma se vogliamo
usare il termine capolavoro dobbiamo prima assicurarci che ce ne
siano gli estremi perché capolavoro è una parola abbastanza
grossa.
La
lettura di questa rinomata opera mi ha dato ben poche emozioni a
parte la noia ed un enorme vuoto, ben agghindato, certo, da quegli
stereotipi e retoriche tipiche di certi salotti intellettuali a
cui, i due autori, hanno propinato con grande maestria un bel
banchetto con molto fumo e pochissimo arrosto.
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