lunedì 15 marzo 2021

La visione di Wanda

Anche il successo stanca e può essere un problema, così dopo aver plagiato e prodotto una versione dilettantesca dei progetti che Zack Snyder aveva in mente per i personaggi DC Comics, ma perfetta per l'analfabetismo narrativo del pubblico contemporaneo, i Marvel Studios si prepararono a tuffarsi a capofitto nel live action televisivo. Approfondendo le conseguenze di Endgame, senza la fatica dell'ennesimo kolossal con multi-celebrità, costoso e impegnativo, per focalizzare l'attenzione dei nuovi Marvel Zombies su quei personaggi finora adombrati dai vari Iron Man e Cap e che, per forza di cose, dovranno ormai essere i nuovi protagonisti cinematografici di una saga che non accenna ad arrestarsi, nonostante la perdita fisiologica dei primi super con cui è cominciata. Un nuovo corso, quindi, di preparazione della platea, di formazione o, forse, sarebbe meglio dire, indottrinamento, più che necessario affinché in futuro non ci sia il rischio d' incappare  in qualche flop a 16:9 come i rivali DC, poiché gli spettatori si sentono un po' troppo orfani del loro Tony Stark. Una missione d' intrattenimento con cui si cerca di arrivare dove precedentemente non si sia riusciti appieno, lasciando, tra pareri discordanti ed incertezze, il campo dell'ex tubo catodico disponibile proprio al multiverso di Superman e soci. 


E se di televisione si vuole parlare quale miglior occasione che farlo con quella meta-narrazione oggi tanto in voga, soprattutto nel materiale supereroico extracartaceo con cui si gioca abilmente tra la sua derivazione e le varie incarnazioni con esilaranti easter eggs e citazioni, per fare approdare messaggi attuali in modi molto, ma molto efficaci e diretti, come, ad esempio la serie CW Dc's Legends of Tomorrow ne ha fatto un marchio di fabbrica. Uno stile di cui i Marvel Studios si sono sempre serviti poco privilegiando richiami per delizia e consumo dei fanboys o per instillare semplice ilarità da avanspettacolo, ma come ogni universo che si rispetti, ha ogni carta in regola per servirsene.  Il primo show post Thanos doveva perciò avere la scusa giusta per ripartire col massimo dell'audience e soprattutto dell'attenzione di tutto il popolo del web, non solo dei talebani dei comics e cine-comics, ma ogni utente possibile per generare, giustamente, il massimo del profitto cavalcando la traccia metatestuale. I capoccioni degli M Studios avranno pensato che con la magia si cade sempre in piedi  e altrettanto con le storie strappalacrime ed ecco che l'onore di inaugurare il ritorno del Marvel-cosmo nella nostra quotidianità è ricaduto su due tra i character secondari più in vista di sempre: Wanda Maximoff e l'androide ( anzi sintezoide, per la precisione) Visione.


Nonostante fossero già protagonisti della miglior pellicola ispirata ai Vendicatori di Lee & Kirby , Age of Ultron, non c'è mai stata l'opportunità di indagare a dovere il loro background, relegandoli dietro le quinte di uno spettacolo a quattro dimensioni. La serie, dall'esemplificativo nome di WandaVision, finalmente si prende la briga di mostrarci lo strano amore tra i due supereroi attraverso un brillante escurcus della storia della televisione. Divertente quanto i Fantagenitori ( ricordate la puntata in cui Timmy finisce nel mondo televisivo e salta tra un cartone anni '80 ed un'altro?) e misteriosa almeno come la serie evento Dark ( forse esagero, ma l'idea è quella) inizia col passo giusto, aiutata dalla scelta di un minutaggio che non ne appesantisce la visione. Tutta la forma è uno splendido atto d'amore per l'evoluzione televisiva statunitense e regge alla grande le prime puntate in una commedia finalmente di classe e non puerile, volgare, caciarona, superficiale o tamarra con cui l'MCU ebbe i suoi primi consensi. Riesce a strappare sorrisi, lacrime e fa sognare con cliffhanger perfetti che ci travolgono in un giallo avvolgente, inquietante e ambiguo al punto giusto.


Non dimentichiamoci però che WandaVision è pur sempre una serie di quei Marvel Studios che presentano eroi che alzano il dito medio con walkman scalcinati, che vengono circondati da veline in un atto di autocelebrazione manco fossero Berlusconi o, per non annoiarvi troppo, rendono ad una barzelletta Loki, il più mefistofelico e potente villain del Marvel Universe nel nome del rutto libero da birra & partita. L'entusiasmo di un'interpretazione carnale di uno dei mondi a fumetti che preferisco, esente, per una volta, da una costruzione discontinua e a tratti raffazzonata, da una banalità populista più involontaria che cosciente, cala drasticamente e la delusione incalza a tal punto da rendere trascurabile quel poco di buono che rimane. In fondo e pure in cima, la serie ha la notevole caratteristica di mettere al centro della vicenda una donna (continuando il trend del Girl Power inaugurato da Capitan Marvel) in una storia d'amore atipica, per quanto ricordi la tradizionale impostazione etero-binaria, un'eroina depressa, con una sindrome post traumatica, che tenta a tutti i costi di mettere insieme i pezzi di una vita improvvisamente andata in frantumi e per quanto non ci sia nulla di innovativo, mostrare certe vulnerabilità è sempre un toccasana per istruire una cultura popolare più equa e meno divisoria. 


Nell'insieme però si ricade nella confezione Marvel cinematografica delle narrazioni scialbe e che poco hanno a che fare col pathos dell'epica e dello stupore, sale del genere supereroistico su carta. Tra la preoccupazione pedissequa di non lasciar indietro neanche il più idiota dei telespettatori e un bisogno inesistente di ricalcare per la prima volta le versioni a fumetti in termini fin troppo letterali, si seppellisce sotto una bella, spessa e pesante pietra tombale quello che poteva essere uno dei migliori racconti made in Marvel (e che ciò nonostante forse lo rimane). 


Percorrendo incredibilmente di propria volontà tutti gli errori più elementari del novello filmaker offende la nostra materia grigia con uno spiegazionismo obsoleto e puramente funzionale all'encefalogramma piatto di chi non ha un intelligenza da offendere, ci telefona sin dal titolo quasi ogni singola rivelazione e sceglie la strada facile e figa del concludere senza concludere niente. Riesce a fare peggio di quello che scrivendo un romanzo giallo svela l' assassino già nelle prime pagine e se avete avuto il buon gusto di vedere Good Place 4 sapete di cosa parlo. Ora non ci resta che aspettare Falcon & The Winter Soldier, sperando che un tradizionale action movie gonfio di testosterone non possa fare peggio.









mercoledì 3 marzo 2021

Hulk-mania


Bum Crash Sock, Hulk spacca! Avete presente? Ecco, Hulk divenne uno dei miei supereroi preferiti durante il periodo dell'adolescenza. Facile capirlo. Insieme ad un mutamento licantropico degno di Wolverine con optional quali mega peluria, voce baritona, favoriti alla Conte Camillo di Cavour, sudorazione ed acne degne de La Mosca di Goldblum, ero solito spaccare e distruggere tutto. Sì, avete capito bene, esattamente come il Pelleverde m'incazzavo e spaccavo e/o lanciavo a destra e manca le prime cose sottomano e,pure, che malmenavo qualche malcapitato.



E sapete cosa pensavo in quei momenti? Sì, le precise parole che solitamente scrivono nelle nuvolette dell'alter ego di Bruce Banner: perché nessuno mi lascia in pace? Ed una sequela di idee così, tutte come fossero riprese del breve repertorio del mostro Marvel. La cosa buffa è che non ero mai stato un gran lettore di questa creatura di Stan Lee, almeno fino a che non lo sono diventato io stesso. L'unica reale formazione che avessi avuto sul personaggio era ancorata esclusivamente al mitico telefilm (sì, telefilm, non serie) con Bixty & Ferrigno, oltre a qualche cartone del sabato mattina seguíto, invero, molto distrattamente.



Diventato, però, a pensarci bene, non è il termine più azzeccato. Dovrei dire quando ne ho fatto coscienza… E come Bruce Banner, non sono comunque riuscito a fermarmi! Perché già da bambino, devo ammettere, ho vissuto momenti simili: tutti legati indissolubilmente alla rabbia, che ve lo dico a fare? Quando i miei amati compagni di classe, ad esempio,mi prendevano in giro e lo facevano spesso, ecco che divenivo un piccolo Tazmania che voleva solo distruggere in mille pezzettini i piccoli uomini davanti a sé.


Col risultato di essere ancora più nel mirino del becero bullismo di provincia. Poiché, sì, qualche colpo lo mandavo a segno, ma ero molto suscettibile ai vocaboli e non sono mai stato, da bravo nerd, molto atletico. Sì, mi piacevano i barbari come Conan ed He-Man, ma ero più un Paperino pasticcione, un Michelangelo senza addominali e carapace, sicuramente più simile ad un Puffo pacioccone che ad un Ercole. Quindi, infine, i miei attimi da Lanterna Rossa non risolvevano proprio un bel niente, anzi non facevano che aumentare il problema.



La rabbia, però, dinanzi a quel che percepivo come un enorme ingiustizia ai miei danni, era molta e pari ai comics del Gigante di Giada, irrefrenabile. Più mi arrabbiavo più diventavo for… No, miei piccoli lettori, magari, questo lo avrei desiderato semmai, ma rimanevo semplicemente violento, scomposto, ridicolo: a tal punto da definirmi continuamente uno schizzato, qualcuno che non ci stava co' i' capo. E via, il vizioso circolo ricominciava da zero, perché ovviamente l'unica cosa che aumentava a dismisura era lo scherno ed io non ero certo abbastanza furbo, né capace da controllarmi per agire diversamente da un microscopico Hulk. 


Una volta, durante una partita al Super Nintendo, sbarbai, addirittura, con un sonoro morso, una ciocca di capelli dalla testa di un mio compagno di classe! Più Hulk di così! Crescendo la cosa si è solo acuita, come l'eroe ipertrofico, ingigantita e fatta sempre più pericolosa. I miei periodici attacchi d'ira mi hanno portato così ad una compassione verso protagonisti affetti da qualcosa di simile: non più solo il tenebroso, ma decisamente più controllato Batman, ma anche e soprattutto Wolverine, Punisher, Daredevil e quindi il re dei personaggi scomposti, Bruce Banner! 



Se mi sentivo Hulk nel mio iracondo stato era la vicinanza alla parte umana del supereroe che mi aiutava ad immedesimarmi. Bruce, più di Hulk, era un impotente testa d' uovo, per i cui talenti e passioni avrebbe potuto elevarsi alla cima dei supereroi Marvel, ma le cui emozioni ed insicurezze interiori lo rendevano un Gobbo di Notre Dame di cui vergognarsi e da scacciare. Il titolare di testata forse più emarginato e abbandonato, anche rispetto ai borderline X-Men, perché, almeno loro, sono una comunità. 


Nel suo essere uomo di scienza e conoscenza rivedevo la mia curiosità sul mondo, il piacere magnifico che ho sempre provato nell'imparare nuove cose, scoprire ogni lato di ciò che ci circonda ad incominciare da quel che mi faceva palpitare il cuore. Allo stesso modo, non potevo che riflettermi in questo moderno Jekyll & Hide, condividendo, ahimé, il vittimismo e quei momenti di così poca lucidità in cui credevo di non avere il minimo controllo della mia vita, di essere nato sbagliato come un Gene X o di essere posseduto da un Venom qualsiasi. 



Ma non si può fare l'Hulk per sempre, perché, innanzitutto, non è giusto per chi ci sta vicino e tanto per noi: per quanto comoda possa essere la strategia dello “spacca & distruggi”, arrabbiati col mondo perché tu non hai alcuna responsabilità, alla fine ti logora, ti rende comunque triste e avvilito e, proprio come Banner, non vuoi altro che il tuo potente alter ego dei raggi gamma sparisca. Se non sei infuso in un incorreggibile egoismo, il dolore che le tue urla, la tua piccola e media distruzione materiale, le incostanti botte destinate alle persone che pensi di amare, la tua violenza non può che corroderti dall'interno. 


A differenza dello scienziato mingherlino e occhialuto, non puoi "semplicemente" tentare di uccidere o separarti dal tuo Hulk, perché la realtà non è un fumetto ed i pensieri magici non funzionano… o forse, proprio come lui, non puoi perché siete la stessa cosa e l'unica strada è un percorso di dialogo tra te e te dove convogliare e mutare la tua rabbia in qualcosa di più rispettoso per te e gli altri, che non ti consegni puntualmente un regalo di malessere ed infelicità.


Pian, piano e sì, so che non è affatto facile, lo so bene, ma dobbiamo sforzarci se vogliamo trasformare il mostro che è in noi, relegare il nostro Punitore ad una fantasia di sfogo virtuale e catartica, prendere il coraggio di Wolverine per indirizzare l'inarrestabile ed umano sentimento di rivolta lontano dalla violenza materiale, aspettarsi di cadere ed imparare a rialzarci come il guerriero urbano Daredevil, abbandonando la pigrizia per abbracciare la volontà delle Lanterne, affidarci con orgoglio ai propri artigli e Bat-conoscenze, correndo a più non posso come Flash verso ciò in cui crediamo e amiamo e come Capitan America rincorrere un sogno senza fermarsi mai, afferrare l'umiltà nell'accogliere la verità di cui Wonder Woman è rappresentate, soprattutto quando la nostra idea ne è lontana e solo così potremo finalmente essere ciò che abbiamo sempre desiderato: la versione migliore di noi stessi!





lunedì 22 febbraio 2021

Eroi senza freni


Chi è l'eroe che va più veloce di una locomotiva? Superman, ovviamente, chi altri sennò? Domanda facile. Sin dal suo esordio l'Ercole americano è stato un concentrato di ogni potere umanamente immaginabile a memoria di ogni mito mai apparso sulla terra. Ogni supereroe venuto dopo di lui, a partire da Batman, non ha avuto vita facile nel trovarsi doti particolarmente originali, come se rappresentassero solamente varie sfaccettature del poderoso uomo d'acciaio. Piccole vite ottenute per scissione dalla cellula madre che è stato il personaggio contenitore tenuto a battesimo da Action Comics, cresciute e moltiplicatesi in universi narrativi sempre più vasti. Colui che non era né un uccello, né un aereo, ma si muoveva più veloce d'un proiettile, ben presto non fu più solo ed aveva perso pure tale primato: nella sua gara con treni e missili di grafite e china si vide improvvisamente raggiungere da un nuovo contendente, the fastest man alive. Arrivò così Jay Garrick, il primo Flash.

 Nel gennaio del 1940, sfogliando le pagine dell' antologico Flash Comics, si poteva assistere a come un giovane talento scientifico, durante uno studio sugli effetti dell'acqua pesante ne respirasse accidentalmente le esalazioni acquisendo, dopo svariati mesi di coma, capacità fuori dall'ordinario e si trasformasse nell'eroe dallo stesso nome della rivista.

Era nata una leggenda: Jay Garrick si muoveva a velocità inaudite per qualunque essere umano, circondato da un'aura per prevenire la frizione sul suo corpo e sui suoi vestiti lottava per il bene comune contro la criminalità nell'americanissima città di Keystone City!
L'idea, abbastanza originale per l'epoca, piacque subito ed ebbe subito vari imitatori come Whizzer, nato appena un anno dopo, da noi ribattezzato anche come Trottola.


Questo emule del velocista appariva in un costume molto più sgargiante, di giallo e blu vestito, un po' alla Superman con un vistoso mantello e rifinito da una bizzarra cresta sulla testa. Dopo un altro annetto il suo guardaroba cambiò in quello che sarebbe stata la divisa definitiva: un' aderente e moderna calzamaglia più canarina e meno celeste, similare alla futura tenuta di Barry Allen, il secondo e definitivo Flash, ma con dei chiari riferimenti al personaggio di Jay, come le classiche alette sulle tempie, ai lati della testa, che il velocista portava per richiamare il piè veloce della mitologia alla base di tutti i super, quella greca, Mercurio. 


Chiaro è come si volesse sfruttare il successo del primo corridore per aumentare le fila dei campioni di una casa editrice minore come la Timely, che ha dato i natali a personaggi ben più singolari come Capitan America e Namor e dalla cui ceneri è nata, letteralmente, l'odierna Marvel, l'unico vero editore supereroistico capace di rivaleggiare con Dc.

I poteri di Whizzer erano assai simili a quelli del Flash quanto diversa la sua origine.
Se Gardner Fox e Harry Lampert fecero riferimento al mondo scientifico in salsa fantasy per creare il loro Hermes vigilante, Whizzer affonda le radici in qualcosa di più elementale, magico e superstizioso. Al Avison e Al Gabriele in U.S.A. Comics numero uno raccontavano di come il buon Robert Frank, originario di Saint Louis nel Missouri, fu avvelenato dal morso di un cobra nel bel mezzo della madre Africa e di come suo padre, il Dott. Emil Frank lo salvò con una trasfusione di sangue di mangusta (?!) donandogli involontariamente la supervelocità. Curiosa differenza, in quanto, solitamente, è DC ad avere una spiccata propensione per personaggi più strettamente fantasy rispetto Marvel (non a caso questa origine ricorda molto quella del Beast-Boy degli anni '80).


I supereroi hanno sempre fatto dell'incrocio tra fantascienza e fantasy il loro marchio di fabbrica e sia Flash che Whizzer, seppur con sensibilità molto diverse, sono stati campioni in questo fortunato amalgama. Quando la atmosfere belliche e anti comuniste degli anni quaranta e cinquanta andarono scemando, una nuova era del fumetto americano si affacciava alle porte del mondo: quel che chiamarono Silver Age, dove si posero le basi per il supereroismo attuale e il rinnovamento dominava incontrastato. In questo clima, inaugurato da personaggi come Martian Manhunter e Fantastici Quattro, vecchi personaggi quali Lanterna Verde e Flash furono reinventati per il nuovo pubblico di quel decennio, i '60, per la prima volta in modo sistematico e ufficiale, offrendo ai lettori nuove e aggiornate versioni dei loro eroi. Oggi come oggi, questo, è un modus operandi (mai sentito parlare di reboot, com’è di moda chiamarli oggi?), anzi è una caratteristica basilare del genere, ma all'epoca era una novità assoluta che portò a grosse rivoluzioni. 

 
La nuova Lanterna Verde non era più l'ingegnere Alan Scott, ma il pilota collaudatore Hal Jordan e il nuovo Flash, Barry Allen, uno scienziato forense della polizia di Central City. Questo nuovo velocista non ha molto in comune con l'originale Jay, se non il talento scientifico e una sempre verde (anzi, rossa!) speranza, ma il suo fumetto presentò alcune caratteristiche veramente particolari. Barry acquisisce poteri molto simili a quelli del suo predecessore grazie ad un incidente con un fulmine (citazione/ispirazione al romanzo di Mary Shelley, Frankestein?) e vari prodotti chimici con cui stava diligentemente lavorando, al posto della vecchia "acqua pesante". 


Le basi della figura non vengono quindi tradite riproponendo un fantasy marchiato ancor più dalla scienza al fine di poter far accadere di tutto e continuare a meravigliare il lettore senza abbandonare quella patina di realismo tipica dei romanzi ispirati al mondo scientifico, essenziale per un eroe moderno. Non si fermano qui, però, le novità, tra le quali, la più importante è senza ombra di dubbio la meta narrazione. Se Barry viene presentato come un ragazzo brillante, speranzoso, incredibilmente onesto, ma anche calmo, metodico e perennemente in ritardo in un voluto contrasto con i suoi poteri di accelerazione, una delle prima cose che veniamo a sapere è che legge fumetti, proprio come i suoi lettori e proprio come loro è un fan sfegatato di Flash, ma ovviamente, non di sé stesso, ma del primo Flash: Jay Garrick! 


Il nuovo Flash, quindi, nella sua vita quotidiana, piena di piccoli e grandi problemi sentimentali, lavorativi e famigliari, precedendo nei contenuti e meno nella forma il celeberrimo Peter Parker, legge le avventure del Flash che nella nostra realtà lo ha preceduto, negli stessi albi a fumetti fino a quel momento veramente pubblicati dalla Dc e non solo: furono le stesse peripezie di Jay a spingerlo a lavorare in polizia per emulare il suo grande beniamino. Questo dettaglio, inizialmente solo un emerito omaggio al primo corridore, col tempo, si ampliò sempre più gettando le basi per le attuali dinamiche dell'universo Dc Comics, fin quando Barry riuscirà addirittura ad incontrare Jay e si arriverà ad affermare che gli scrittori in carne ed ossa prendano ispirazione per le avventure di questi eroi da reminiscenze di mondi paralleli!



Barry divenne ben presto il Flash definitivo, il perfetto rappresentante di una generazione di lettori che stavano assistendo al sorgere della rivoluzione Marvel varata da personaggi quali l'Uomo-Ragno, Hulk e Ant-Man o X-Men. Proprio nella grande famiglia allargata di quest'ultimi possiamo ritrovare un ennesimo figuro dotato di velocità super umane.
I padri fondatori dell'era Marvel, Stan Lee & Jack Kirby, nel 1964, dettero alle stampe una delle loro intuizioni più riuscite e destinate ad insperati fasti contemporanei: gli studenti mutanti X-Men!


Quell’incredibile squadra di nuovi e particolari eroi, apparve presto anche un' unione contrapposta, come da tradizione narrativa, ai "buoni" titolari della serie: la Confraternita dei Mutanti Malvagi!
Con un titolo così non poteva accadere nulla che non fosse almeno un po' marcio con loro nei paraggi, ma alcuni dei suoi membri erano molto più che cattivi d’occasione ed oggi sono tra i super-personaggi più popolari di sempre. A partire dal loro leader, Magneto, un terrorista bianco ispirato a Malcolm X e poi quelli che per molto tempo saranno considerati i suoi figli legittimi, i gemelli Maximoff: la strega Scarlet ed il velocista Quicksilver!




Quicksilver, all'anagrafe Pietro Maximoff, esordisce quindi come un super villain iper veloce, né più, né meno come Flash, ma nel tempo diverrà anch’esso parte degli eroi. Assieme alla sorella Wanda entrerà a far parte dei Vendicatori in una semplice metafora di un programma di reinserimento nella società di temuti criminali internazionali.


Col suo ruolo negli Avengers le similitudini con l'eroe DC, fondatore, seppur con identità diverse, sia della Società che della Lega della Giustizia d'America, gruppi corrispettivi dell'unione vendicativa Marvel in vari decenni DC, si fanno sempre più marcate.


A parte l'origine dei poteri, una genetica per Quicksilver che lo ha accompagnato per tutta la crescita ed un copione più tradizionale per i velocisti della Distinta Concorrenza, i due eroi appaiono l'uno il rovescio della medaglia dell'altro. I supereroi Marvel, si sa, sono quelli con i famosi superproblemi e Pietro, diversamente da Jay o Barry, (ma anche da altri "lampi" come Wally o Bart) è narrato come un personaggio irritabile, arrogante, testardo nonostante la nobiltà d'eroismo e il forte amore per la sorella. Alcuni potrebbero vedere un parallelismo tra questo legame e quelli che Pietro avrà lungo tutta la sua carriera con l'iconica relazione tra Barry Allen e la sua eterna fidanzata Iris West, definita, come lo saranno tutte le altre Flash-Women dopo di lei, una vera e propria bussola per il “fulmine umano”, ma anche qua, il rapido mutante si contraddistingue per un fato più drammatico, distruttivo e cupo. In un certo senso Quicksilver fu rimodellato casualmente in una versione dark di Flash come, sempre in modo semplicistico, potremmo definire Aquaman un’alternativa solare e nobile del più anziano Sub-Mariner Namor, anche lui della scuderia Marvel. 


Una curiosità inaspettata lega però in modo profondo il mondo del vendicatore argentato con quello del velocista scarlatto: Pietro Maximoff non è l’unico Quicksilver, né il primo! L'originale argento veloce non era né Marvel (o Timely/Atlas), né DC (o All-American Pubblications, primo editore di Flash di cui Dc in quegli anni era solo un distributore), ma un supereroe che poi divenne un comprimario fisso di quest'ultima proprio nelle storie di Flash sceneggiate da Mark Waid negli anni '90. Waid lo ribattezzò Max Mercury riferendosi chiaramente al dio Mercurio che ispirò il primo Flash e al nome originario dell’eroe che nell’insieme indica il liquido metallo dal nome del dio ellenico, per evitare, così, controversie con la Marvel Comics in un momento in cui il suo velocista mutante era decisamente più popolare del supereroe omonimo nato ben cinquant'anni prima, lasciando di fatto immutato il suo alias di battaglia. L'eroe dalla supervelocità era uno dei concorrenti più feroci del Flash/Jay Garrick: sotto il cappuccio dell' originale Quicksilver vi era solo un nome, Max, con passato da acrobata circense (un escamotage molto caro ai fumettisti americani del tempo) e amici come il cinese Hoo Mee ed il nativo americano Shoshone. 


Ammantato di bianco e blu con un dinamico colletto vampiresco, fece capolino solo qualche mese dopo Jay Garrick, nel Novembre dello stesso anno per la casa editrice Quality Comics su Quality's National Comics #5. 


Quality era uno degli editori di supereroi più importanti con character originali e sorprendenti quali Blackhawk, Doll Man, Bomba Umana, Invisible Hood, Kid Eternity, Phantom Lady, Il Raggio, Red Bee, Red Torpedo, Wildfire, Zio Sam ed il famosissimo Plastic Man, nonché per la sua collaborazione con Will Eisner l'inventore della graphic novel! 


Purtroppo il pantheon della casa editrice non è arrivato a noi così com'era, anzi, come la maggior parte degli editori di supereroi di allora, non è riuscita a sopravvivere ai cambiamenti economici e solo alcuni dei suoi character sono sopravvissuti in seno alla DC, la quale, con l'acquisizione di questi ed altre figure di molti editori super eroici divenne la casa del supereroe classico con un universo narrativo da potenzialità imbattibili se non dalla popolare Marvel, creatrice di una modernità nel racconto della nuova mitologia occidentale. 


Un'innovazione che, sotto lo stimolo di un classicismo collaudato, ha rinverdito un genere che ha continuato a far correre con la fantasia generazioni e generazioni di lettori verso la medesima utopia: un mondo più giusto e sempre più meraviglioso.