Mi ricorderò sempre di quella ragazzina paffuta, che all’uscita di scuola additó la mia maglietta bianca di importazione statunitense come il più grande male su questa terra, solo per la stampa dei caratteri cubitali U. S. A. che riportava sopra. Sarà perché le piacevo, sarà che ci credeva fermamente, ma fu uno dei primi sintomi di un morbo più grande. Avrei dovuto capirlo subito, invece mi ci volle ancora un po’, ma già non mi stupivo di un comportamento così stupido. Lei come me, aveva ricevuto un’educazione fiorita nei salotti della sinistra italiana e, per quanto fossero buone le intenzioni con cui ci avevano impartito tali nozioni, il risultato di tale dottrina, nella tipica repulsione adolescenziale, fu un odio cieco verso tutto ciò che è America. La differenza, tra noi, che mi permise d’ indossare quell’indumento così futile e patriottico, seme di quella discordia temporanea, oltre alla necessità di aver qualcosa di poco conto da poter inzuppare nell’ora di ginnastica, era che il problema dell’ anti-capitalismo ad oltranza me l’ero posto molto tempo addietro. Come avrei potuto boicottare ogni singolo prodotto americano quando tra le mie più grandi passioni vi erano quelle letture così fantastiche e avvincenti di Batman & Co.? Come potevo privarmi di una passione simile e allo stesso modo non tradire i miei ideali? L’infantile gola ebbe facile presa sul me quattordicenne e scelse al mio posto, modificando geneticamente la mia concezione di uomo (per meglio dire ragazzo) di sinistra. Avrei dovuto vergognarmi, chissà, visto che, di fatto, qualche ideale lo tradii, poco importa se ad oggi ne ho una diversa considerazione, lo feci, ed evidentemente non sono così fedele come mi piace pensare. C'è chi s’impiccherebbe per questo (seppuku per essere precisi), ma riconosco che l’aver conciliato il dovere al piacere è stato il primo passo verso la maturità. In fondo, tutto quel che la dottrina comunista mi suggeriva era vero, che i supereroi, come ogni altro prodotto statunitense, erano frutto di una società malata, un’esaltazione della giustizia fai da te e dell’individuo rispetto alla collettività, ma vero era anche tutto il resto e cioè che quegli odiati buoni sentimenti di eguaglianza sociale, popolare e populista, di altruismo o generosità verso il prossimo, non erano poi così diversi dai dettami della sinistra in cui mi hanno cresciuto. Il trucco sta proprio qua, nel saper leggere ciò che abbiamo davanti e scindere, smontare, demolire e ricostruire solo dopo aver conosciuto senza preconcetto alcuno. Quella ragazzetta dei tempi andati non aveva alcuna colpa, ma era vittima del radicalismo nemico di ogni ragione e, come ci ha ricordato Goya, se questa dorme i mostri usciranno a frotte nelle nostre strade. Una mentalità tanto fascista quanto naturale, sembra, per l’uomo, visto quanto è diffusa oggigiorno, che le ha concesso una facile gogna per un comportamento di cui lei stessa era inconsapevole fautrice: non vestiva a stelle e strisce, ma di Stati Uniti era pieno il suo walkman, certo, di cosiddetti gruppi ribelli, underground, ma non è poi tanto diverso. Io, invece, ero già su un sentiero vagamente più obbiettivo, lontano da estremi settarismi: si può dire che, in un certo qual modo, Batman mi abbia salvato da quei mostri.
Da quando i comics sono venuti al mondo, in particolare quelli dedicati ai supereroi, hanno sempre dato scandalo per i benpensanti, ma oggi i più indignati sembrano essere gli addetti ai lavori, autori o fan che siano. Se negli anni ‘60 uno psichiatra creò una psicosi di massa ad hoc pur di vendere qualche libro, sfruttando la paranoia delle mamme benpensanti d’America, con una crociata contro i supereroi, nel 2017 ci sta pensando il mondo del cinema ad affondare invano un veliero che naviga a gonfie vele sin dal ‘38 con molti più argomenti di quel non si pensasse. Andreotti diceva che a pensar male si fa sempre bene, quindi può essere tutta invidia, ma più il tempo passa e più cineasti e autori prestigiosi fanno a gara nello spender parole poco garbate sugli eroi in costume. Certamente è una tattica per arginare l’infinito sbarco dei comicbook sul grande schermo, una migrazione che ha spostato l’attenzione del pubblico dai cosiddetti grandi registi ai fumetti di giustizieri e vendicatori (oltre a riempire un’ astinenza di originalità di cui Hollywood soffriva da tempo, portando nelle sue casse miliardi e miliardi di profitti), o una puerile reazione per quel che gli eroi della cellulosa hanno raggiunto, cioè arrivare laddove i maestri della celluloide non riescono più, ma il risultato è che questi miti della pellicola appaiono vecchi, stanchi, ridicoli ed ottusi.
Ad ogni dichiarazione o parere sulla trasposizione del super di turno si presentano improvvisamente sotto una nuova luce, più simili ad un mediocre seguace di Salvini, privo di quella fondamentale capacità di analisi di cui sopra, unico reale mezzo per svelare messaggi e concetti dietro all’intreccio di una narrazione, che a quell’idea mitica e mistica che il pubblico si è costruito in anni ed anni di buone visioni.
Queste leggende viventi della camera sono assai più simili a quella mia compagna di scuola di quel che non si possa pensare e molto più pericolosi. La loro fama e giusta credibilità nel campo cinematografico, rende ogni loro affermazione legge per quei molti, ahimé, che come loro non sono abituati ad analizzare e scegliere prima di avallare una tesi e dal loro balcone di Palazzo Venezia, volenti o nolenti, manipolano il pensiero di massa e nemmeno nella direzione più conveniente per la specie.
“Non ne posso più della propaganda americana” tuona Luc Besson e via che tutti i sinistroidi del Bel Paese si apprestano a boicottare - o, peggio ancora, guardare solo per disprezzare - il prossimo film con protagonisti i membri della Lega della Giustizia della Dc Comics, magari. Ma di quale Propaganda sta parlando, Messer Besson, di un gruppo di persone che si associano per fare del bene? Perché è di questo che parlano, più o meno efficacemente, quei film e anche se fosse. non credo che ne dovrebbe parlare un minuscolo regista francese che ha costruito un piccolo impero emulando i film d’azione d’Oltreoceano.
Ma non finisce qui: “Sono esausto. Completamente. Insomma, era grandioso dieci anni fa quando avevamo visto il primo Spider-Man e dopo l’uscita di Iron Man. Ora siamo al numero cinque, sei, sette… c’è questo supereroe che collabora con quest’altro supereroe, ma non sono della stessa famiglia.”
Così scopriamo un Besson razzista, perché non sopporta, parole sue, che persone di diverse famiglie collaborino insieme e, nel migliore dei casi, di una mentalità più ristretta di mio nonno visto che si confonde per un banale multiverso narrativo: Luc, mai sentito parlare di Tolkien?
E conclude con una perle di acume: “Ma ciò che più mi dà fastidio è la retorica sulla supremazia dell’America e di come gli americani siano grandi. Insomma, quale Paese al mondo avrebbe lo stomaco di chiamare un film “Capitan Brasile” o anche “Capitan Francia”? Nessuno. Noi ci vergogneremmo a tal punto da dire “no, questo non possiamo farlo”. Ma loro invece possono. [Gli Stati Uniti] chiamano un film Captain America e tutti pensano che sia una cosa normale! Io non sto qui a fare propaganda, sono qui per raccontare una storia.”
E sì, non posso dargli torto per il tipico far da gradasso americano, ma in fondo vietano qualcosa a noi altri? Sicuramente non in campo artistico, eppure Besson pare soffrire della fisima dell’organo riproduttivo più breve: loro possono, noi no, quindi loro sono cattivi, gne, gne. Suvvia, comportiamoci da adulti, almeno alle soglie dei sessant’anni, vuoi fare Capitan Francia? Fallo, Luc, che lo sforzo sia con te! La fantasia è bella per questo, perché si può osare, o forse si deve solo in una direzione? E chi decide qual è? Il Sindacato del Cinema D’Autore? E poi un francese che accusa un prodotto d’intrattenimento di esser strumento di propaganda fa un po’ ridere, no? Come se lo avesse prodotto direttamente il governo U.S.A. o la C.I.A. Besson ti consiglio un ripassino dal Professor Barbero, non ti farebbe male.
Ma l’ingenuo francofono non è il solo a sostenere la vecchia teoria della propaganda imperialista. Vi ricordate di Die Hard e Predator? Due classici del genere botte da orbi con un Bruce Willis iper macho nelle vesti di un giustiziere spaccatutto ed un cacciatore alieno dedito al Safari umano. L’artefice di queste pietre miliari, John McTiernan, scomoda addirittura motivazioni ideologiche di dubbia veridicità :
“Io odio parte dei film per motivi politici, sul serio, non riesco a vederli. Mi infastidiscono a pochi secondi dal loro inizio. Capitan America, non sto scherzando… Il culto di iper-mascolinità americana è una delle cose peggiori che sono arrivati nel mondo negli ultimi cinquant’anni. Centinaia di migliaia di persone sono morte a causa di questa stupida illusione. Come si può allora guardare un film che si chiama Captain America?”
Ha bisogno di un buon psichiatra mr. McTiernan se taccia un film supereroistico per quelle stesse caratteristiche incarnate così poco velatamente dai protagonisti dei suoi film, grazie alle quali ha avuto tutto il successo e la popolarità che ha voluto. Se proprio dev’esser così eccessivo e fuori luogo perché non si trasforma in un contemporaneo San Francesco e non vive di cristiana carità, devolvendo tutti quei bei quattrini così “insanguinati” da quelle centinaia di migliaia di morti? Sarebbe un bel gesto per fare ammenda all’aver così efficacemente contribuito alla glorificazione di questo, come l’ha chiamato, culto di iper-mascolinità americana, non crede?
A quanto pare a queste famigerate icone non piace proprio il Capitano, ma sparare sul buon Steve è un po’ come farlo sulla Croce Rossa. Chiunque sia figlio della sinistra, italiana od anglosassone ci ha provato almeno una volta, è un cliché trito e ritrito che ormai non fa più alcun effetto (speciale).
Dopo l’Homo Registus Americanofobicus, osservate le bizzarre abitudini del Directus Idiocraticus. Esso non si muove in branco, ma i vari esemplari riescono comunque a comunicare attraverso un basilare sistema di linguaggio a passo uno. Studiandoli da vicino, alcuni ricercatori hanno potuto registrare quel che è stata ribattezzata come Equazione Bambini=Stupidità.
Una di queste bestie, dal nome di Inarritu, infatti, è stata sorpresa nell’affermare quanto segue:
“I cinecomic sono veleno, un genocidio culturale che tartassa il pubblico di esplosioni e ca***te simili.”
Non è erroneo definire alcuni film Marvel un po’ scadenti, soprattutto sui contenuti, ma i supereroi non sono solo Marvel, anzi, e ancora una volta siamo di fronte al saccente che si crede dotto. Un film d’intrattenimento deve divertire e le esplosioni, le sparatorie, gli inseguimenti in auto sono l’abc dello scacciapensieri cinematografico. Se il pubblico ne viene tartassato è perché gradisce e, purtroppo o per fortuna, non è certo colpa della grande industria se un certo cinema d’autore concilia il sonno più che l’interesse. Nel genere supereroistico si ha un termine per questo, “sense of wonder”, il senso di meraviglia che porta il lettore, oggi spettatore, non solo a rimanere incollato alla vicenda come nei migliori Bond-movie, ma soprattutto a stupirsi, sognare ed ormai, laddove l’opera è migliore, a pensare ed interrogarsi continuamente.
Eppure il cineasta sudamericano ci rassicura:
“Non c’è niente di terribile nel fissarsi con i supereroi quando si ha sette anni, ma da grandi è una forte debolezza, quasi come se non si volesse crescere.
Non penso siano (i cinecomic, ndr) un prodotto da buttare, anch’io a volte mi diverto a guardarli, sono semplici e con i pop-corn ci stanno benissimo. Il problema è quando fingono di avere una qualche profondità. È una cosa che odio, perché non corrisponde a quei personaggi. Il pubblico è ormai sovraesposto a storie che non hanno nulla a che vedere con l’esistenza di un essere umano. E poi, supereroi… Già solo la parola “eroe” mi annoia. Ma cosa vuol dire? L’idea di supereroe è un concetto falso ed equivoco. Se osservi bene questo tipo di film, la mentalità di fondo si basa su gente ricca, potente, che fa del bene e uccide il cattivo. Filosoficamente, non mi piace. Sono film che non dicono nulla, come scatole che contengono altre scatole e così via, senza lasciarti nessun senso di verità.”
Non c’è niente di terribile a patto che non si sia deboli, sempre ammesso che crescere voglia dire cestinare la propria infanzia invece di accettarla ed includerla nella propria vita. In fondo non abbiamo mai visto dei cosiddetti film per bambini fatti bene o vincitori di qualche premio, vero? Disney è morto in povertà, lo sanno tutti. A guardar bene la mia esperienza molti film dedicati all’infanzia non sono per bambini, ma semplicemente non sono solo per adulti, sono per famiglie: tutti possono guardare lo spettacolo ed in ordine, divertirsi, pensare ed infine imparare. Sta allo spettatore aver le capacità per arrivare sino ai livelli più profondi. Un’immersione subacquea della fantasia e della cultura dove sta al fruitore decidere dove fermarsi. Ma per l’acclamato art director guai ad affermare che le storie di supereroi abbiano più livelli di lettura e che si possa far arte attraverso l’intrattenimento (che poi è quel che hanno fatto per secoli prestigiosi protagonisti della Storia del calibro di Raffaello o Botticelli). Nocivo ed erroneo in quanto non hanno nulla a che vedere con l’esistenza di un essere umano.
Ancora una volta ci dobbiamo misurare con un’opinione priva di fondamenti: credo che il sentimento d’emarginazione che prova un onestissimo Clark Kent immerso in una corrotta società di imperfetti, la frustrazione e il desiderio di porre fine a tutte le ingiustizie e poter così riabbracciare i propri genitori perduti di Bruce Wayne, il percorso di crescita adolescenziale di Peter Parker, i problemi razziali ed etnici che affrontano gli X-Men, i dilemmi politici ed istituzionali di Arthur Curry, siano quanto di più umano e sfaccettato si possa immaginare. E come se non bastasse, quasi ad anticipare le mie note, Inarritu confessa che addirittura il termine “eroe” lo annoia, come a dire che già il fatto di narrare delle gesta eroiche sia un crimine. Questo è il culmine di tali esilaranti affermazioni: tutta la cultura letteraria è basata sull’eroe, esplicito o meno; chiunque sia protagonista di una vicenda lo si può intendere come eroe e se proprio vogliamo scavare nel significato letterale, cosa c’è di male in qualcuno che mette al servizio degli altri la propria esistenza? Spesso, mi soffermo a pensare a cose come questa: senza certi eroi, come i Partigiani, di certo non senza macchia e paura, l’Italia non sarebbe uscita dal fascismo, senza alcune menti scientifiche messe all’indice dai poteri forti del loro tempo non avremmo il benessere di oggi, addirittura, forse, senza eroi, staremmo ancora a nasconderci nelle caverne da tuoni e lampi. Don Alejandro González parla di filosofia, falsità ed ambiguità, crede che questi giustizieri in tuta attillata siano degli sfrontati capitalisti strapotenti che si battono i pugni sul petto per ammaliare bambole gonfiabili, uccidendo il cattivo di turno, senza lasciare assolutamente nulla, ma non vi è, quasi mai, solo questo, non più almeno, da molto tempo.
Un vuoto che evidenzia anche Ridley Scott
“Non ne ho mai realizzato uno perché non sono il mio genere preferito. Me lo hanno chiesto più volte ma non posso credere nell'irrealtà sottile e sul filo del rasoio che contraddistingue la situazione del supereroe.
Ho fatto quel tipo di film: Blade Runner è in realtà un fumetto se ci pensate. E' una storia dark raccontata in un mondo irreale. Si potrebbero inserire Batman o Superman in quel mondo, quell'atmosfera, solo che io almeno avrei una storia fottutamente buona da raccontare, visto che in genere non hanno nessuna trama!"
Be’, i gusti sono gusti, ma descrivere così quel che è di fatto la nuova mitologia occidentale è molto più falso e criminale di quanto potrebbe mai essere essa stessa. E non sono solo io a dirlo, andate a vedere quanti saggi sulla psicologia e simbologia dei supereroi affollino le librerie. Difficile credere che ci sia buona fede in frasi come queste. Se così fosse verrebbe da crederne l’autore un completo idiota, oppure è facile pensare che, talvolta, il genocidio culturale sia negli occhi di guarda.
Quando il pregiudizio affolla le menti è inutile coltivarle con qualsiasi saggezza e un campione in questo è David Cronenberg:
“Non credo stiano elevando il genere ad una forma d'arte. Penso che Batman resti un tizio che corre in giro con uno stupido mantello. Penso semplicemente che non sia "elevato". Il miglior film di Christopher Nolan è Memento, e quello è un film interessante. Non credo che i suoi film di Batman siano neanche la metà di quanto fosse interessante quel film, nonostante siano 20 milioni di volte più costosi. Le cose interessanti che sta facendo sono a livello tecnico, girando in IMAX e 3D. È davvero complicato e difficile da fare. Ne ho letto su American Cinematography Magazine, e tecnicamente è tutto molto interessante. I [suoi] film [di Batman], per me, sono però piuttosto noiosi. Chiunque lavori negli studios ha 20 persone con il fiato sul collo ogni momento, che non hanno rispetto, e... non importa quanto successo tu abbia avuto. E ovviamente Nolan ha avuto molto successo. Ha avuto un sacco di potere, relativamente. Ma in realtà non ha davvero del potere.
Si possono fare cose interessanti, anche inaspettate. Certamente io ho fatto degli horror e la gente può chiedersi "Si può fare un film horror che sia anche un film d'autore?", e io risponderei "Certo, credo si possa fare". Ma un film sui supereroi, per definizione, sai, è un fumetto. È per bambini. Il suo target è quello degli adolescenti. È sempre stato così, e penso che la gente che dice che Il cavaliere oscuro - Il ritorno è una suprema forma d'arte cinematografica non sappia davvero di che c***o stia parlando.”
Per il riconosciuto artista il Batman di Cristopher Nolan, forse il primo vero adattamento di un supereroe per il grande schermo inteso come un’opera cinematografica a tutto tondo, rimane sciocco a causa del suo mantello. Ogni tentativo di originalità e crescita di quelle pellicole non ha alcun valore perché Batman ha un mantello!
Credo che il borioso regista si renda piuttosto ridicolo da sé. Loda la parte tecnica perché non può farne a meno, tanto è necessario per lui apparire come un maestro del cosiddetto cinema d’élite, ma affossa tutto il resto a priori, sia mai che possa fargli concorrenza se un giorno la gente si svegliasse dal suono del suo flauto. Un film horror può essere un capolavoro, un film di supereroi no, perché sono fumetti e i fumetti, si sa, sono per bambini. E noi ci ricordiamo che i film per bambini, lungometraggi intitolati Biancaneve e i sette nani o Toy Story sono proverbialmente d’infima qualità. Ancora con questa noiosa tiritera: ma poveri bambini, significa che gli diamo in pasto prodotti scadenti e superficiali? Mi sa di sì, a giudicare dal livello di superficialità di questi adulti. Da quando un contenuto lo si giudica dal contenitore? Definire quest’uomo “superficiale” è chiaramente un gentile eufemismo.
E poi, al pari del suo collega , non poteva mancare la parolaccia finale, veramente un atto di classe per qualcuno che si crede un vero intellettuale.
Seriamente, quanta cultura bisogna avere per parlare così alle soglie del 2018? Non fa pena?
Anche un cineasta minore come John Michael McDonagh, sostiene la medesima formula:
“Non guardo più cinecomic al cinema, mi sono stancato. Mi piace magari guardarli mentre viaggio in aereo, su in piccolo schermo, magari bevendo qualcosa, giusto per dare loro la giusta attenzione che meritano. I cinecomic sono film per bambini. È questo che sono. Sono fatti per persone che fondamentalmente sono ancora dei bambini. Oppure sono per un pubblico che non vuole pensare troppo e vuol vedere solo dello spettacolo, e questo va bene, ma non facciamo finta che in fin dei conti non siano per bambini, perché lo sono.
Deadpool almeno è qualcosa che prende una nuova direzione. Così va bene, mi piace, ma comunque non sono interessato a questo genere di film. La maggior parte delle persone li fanno solo per guadagnare soldi.”
Curioso come salvi e definisca nuovo l’unico film creato come un grande concentrato di divertimento parodistico solo perché abbatte qualche quarta parete, cosa che già il Cico zagoriano faceva ampiamente negli anni ’60. Il meno conosciuto di questi personaggi ci introduce anche un nuovo teorema, quello che demonizza chi fa arte per vile denaro.
Sì, il denaro sarà vile, ma serve e se l’uomo si è organizzato in una società basata sulla suddivisione dei compiti che gli ha permesso di arrivare sulla Luna ed oltre ed il mio ruolo è quello dell’artista, be’ scusatemi, ma voglio farmi pagare per questo! Intanto possono iniziare questi registi a campare d’aria e di elevata arte cinematografica, ma, a dispetto delle loro asserzioni, non mi risulta che l’abbiano mai fatto.
Siamo ormai condizionati dall’idea negativa dell’arte mercificata, che non si riesce più a digerire un semplice artista che chieda un compenso, alto o meno, per il suo lavoro : sembrerà sempre che chieda troppo o farà la figura della meretrice (come se quest’ultime non avessero dignità). Dall’altra parte della barricata, invece siamo affollati da aspiranti geni senza il minimo talento che venderebbero la propria madre (se non l’hanno già fatto!) per un pugno di euro in più.
Su queste “monete di giuda”, un perspicace Mel Gibson presenta un interrogativo potenzialmente interessante:
“Guardo quei film e mi gratto la testa. Mi lasciano davvero sconcertato. Mi sembra si potesse girare spendendo meno… Si sprecano vergognose quantità di denaro, 180 milioni o più, non si sa neanche come rientrino dopo aver pagato tasse e vari espositori. Quanto hanno speso per Batman v Superman che hanno dichiarato?”
Leggendo la conclusione però possiamo tranquillamente classificare il tutto come i deliri di un fanatico religioso qual è:
“Batman V Superman è un vero schifo. Non sono neanche interessato a quella roba. Sapete qual è la differenza tra i supereroi reali e quelli dei fumetti? Quelli veri non portano tute di spandex. Quindi non so, forse è lo spandex a costare molto”
Sono d’accordissimo con te, “chiappe al vento di Arma Letale” Mel, gli eroi veri non portano costumi, ma questi romanzi sequenziali glorificano proprio loro e i loro principi, attraverso il fascino dell’immaginario e dell’avventura. Mi dispiace che tu sia una persona così triste, così priva d’immaginazione da non riuscire a vedere oltre il bel nasone Australiano, nonostante preghi Superman tutte le sere!
Per il creatore di Terminator e Avatar poi, un film come Wonder Woman, se non è più che buono è addirittura retrogrado.
“Tutto questo autocompiacimento, questo mutuo scambiarsi pacche sulle spalle a Hollywood quando si parla di Wonder Woman è così sbagliato. È un’icona trasformata in oggetto: sono i maschi di Hollywood che fanno sempre la stessa cosa..(...)
“Scusate, è Miss Israele [Gal Gadot] e indossa un costume succinto! Era splendida. Per me questo non è un punto di rottura rispetto al passato, queste cose le faceva Raquel Welch negli anni '60. Non credo che Wonder Woman sia stata "avanti" rispetto al proprio tempo perché evidentemente non siamo ancora pronti.
Non sto dicendo che il film non mi sia piaciuto, ma per me rappresenta un passo indietro. Sarah Connor non era un’icona della bellezza. Era forte, aveva tanti problemi, era una madre terribile e si è guadagnata il rispetto del pubblico grazie alla sua vera grinta. Per .quanto mi riguarda il beneficio che hanno portato personaggi come Sarah è evidente. Voglio dire: metà del pubblico è composto da donne!”
Evidentemente lo spietato James non ha la minima idea che il concetto di Wonder Woman fosse quello di una donna nel ruolo di un uomo, quello di Superman, alla sua maniera però, bella ed intelligente al contempo, con tutte le ingenuità dell’epoca, certo, e non senza errori, ma lo era! Perché forse sarà difficile da capire per una persona indottrinata come lui e i suoi colleghi, ma una donna se bella deve per forza essere stupida? Al contrario, solo le brutte possono aver cervello? La sua Sarah Connor era più femminista perché sprecava il suo tempo nella mediocrità di un fast food e lì ci sarebbe morta se il buon Schwarzy non sarebbe arrivato per ucciderla? Non è più sessista questo pensiero del naturale maschilismo del proletariato? La cara vecchia Sarah sarà stata sicuramente una grande donna, non lo nego, ma la mia Diana non è da meno in una storia che ci racconta di padri assenti, pacifismo, amore universale e parità di generi - abbiamo quasi rischiato di avere il primo supereroe del grande schermo arcobaleno - se non è questo essere avanti ditemi cos’è! Ma lo capisco, Cameron, in fondo, è un maschio anche lui e sarà stato un po’ troppo distratto dalle grazie della bella attrice protagonista per riuscire a ragionare, per riuscire a capire anche solo un briciolo della trama.
E questi sono solo alcuni esempi tra i più illuminanti, ma di altri ce ne sarebbe da raccontare. Cercateli: ne troverete molti come Emmerich, Lynch, Smith, o il nostrano Muccino, nel mondo in 16:9.
La cosa più triste è che come novelli Galactus trasformiamo questi comuni mortali in araldi di una cultura che non hanno mai conosciuto. La maggior parte di queste considerazioni non proviene dalla loro esperienza ed abilità nel raccontare una storia visiva, ma, al contrario, dall’assenza di tutto il resto. Oltre l’artigianato cinematografico, l’incompleta visione del mondo di un’educazione fin troppo specifica e poco adattabile, li confina irreversibilmente nella miseria e povertà intellettuali.
Mi sembra pazzia eppure, considerato tutta l’ostilità che i comics suscitano anche in menti apparentemente più illuminate, mi vien da pensare che l’idea, neppure tanto originale, scaturita nel 1938 per puro scopo commerciale di intrattenimento, da due immigrati ebrei nella terra dello Zio Sam, di un salvatore alieno che mette al servizio degli altri in modo completamente disinteressato tutte le sue straordinarie capacità sia, ancora oggi, molto più coraggiosa e scomoda di quanto appaia.
Credo che quest’idea faccia paura , che il bene disinteressato spaventi gli uomini, così piccoli da non riuscire a comprenderne il significato. Formiche dinanzi all’infinito che intuendo nell’ inconscio di non esserne all’altezza lo aggrediscono, cercando di demolire quel promemoria dei loro limiti.
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